Il carcere di Cosenza
5 minuti per la letturaCOSENZA – I carabinieri del provinciale di Cosenza hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip presso il Tribunale di Catanzaro, nei confronti di due assistenti della Polizia Penitenziaria, in servizio presso la Casa Circondariale di Cosenza, ritenuti responsabili di concorso esterno in associazione mafiosa.
Le indagini, svolte dai militari del nucleo investigativo del comando di Cosenza, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro ed, in particolare, del procuratore della Repubblica, Nicola Gratteri, e del sostituto procuratore, Camillo Falvo, hanno permesso di acquisire come i due, in violazione dei propri doveri e dietro corresponsione di somme di denaro, tratte dalla cosiddetta ‘bacinella’, o di altri benefici di vario genere, avessero favorito detenuti presso la Casa Circondariale di Cosenza appartenenti alle cosche di ‘ndrangheta Lanzino/Ruà/Patitucci, Bruni/Zingari e Rango/Zingari.
Per anni la ‘ndrangheta avrebbe “controllato” il carcere di Cosenza, approfittando di agenti penitenziari “infedeli”, completamente a disposizione delle cosche, e anche della disattenzione e delle inerzie di chi doveva vigilare e non l’ha fatto. In manette sono finiti i due assistenti capo dell’istituto penitenziario, Luigi Frassanito, 56 anni, e Giovanni Porco, 53.
Dagli accertamenti compiuti è emerso che i due appartenenti alla Polizia Penitenziaria si erano permanentemente posti a disposizione delle citate consorterie garantendo ai detenuti di poter continuare ad avere contatti con l’esterno e, in particolare, con i sodali liberi, veicolando agli stessi messaggi, anche mediante pizzini, per sviare indagini in corso su omicidi o per impartire disposizioni sugli imprenditori destinatari di attività estorsiva, per recuperare somme di danaro dovute per pregresse forniture di stupefacente o, ancora, per far filtrare notizie su reclusi che intendevano avviare percorsi di collaborazione con la giustizia.
Gli approfondimenti condotti, anche sulla base di convergenti dichiarazioni di 9 collaboratori di giustizia, hanno, inoltre, portato alla luce un quadro della vita all’interno dell’istituto penitenziario caratterizzato da una sorta di piena libertà di manovra, specie per i detenuti di maggiore caratura.
Dall’investigazione risulta che, grazie alla complicità dei due agenti penitenziari arrestati, più il terzo al momento indagato, nel carcere di Cosenza entrava di tutto, dalla droga, in un caso nascosta dentro palline da tennis lanciate dall’esterno dell’istituto sul campo posizionato all’interno, a generi alimentari, superalcolici e persino farmaci: in un caso – è stato accertato dai militari dell’Arma – a un detenuto che doveva sottoposti a una consulenza fonica è stato consegnato un farmaco che gli avrebbe consentito di alterare la voce. Inoltre, i carabinieri hanno scoperto che i boss detenuti, nonostante fossero sottoposti a regimi carcerari diversi, facevano riunioni all’interno delle celle, al punto da avere “piena libertà di manovra”, dispensavano all’esterno ordini e “imbasciate” attraverso i classici “pizzini”, facevano convocare imprenditori da estorcere o spacciatori da “spremere” sotto le celle che davano sulla strada comunale. Vari anche i riti di affiliazione celebrati dagli ‘ndranghetisti nel carcere di Cosenza e registrati dagli inquirenti.
Nello stesso contesto risulta indagato un altro appartenente al Corpo, non raggiunto da provvedimento cautelare poiché nel frattempo andato in quiescenza e, quindi, non più in grado di reiterare le condotte in argomento all’interno della Casa Circondariale di Cosenza.
Nel corso della conferenza stampa tenuta a Catanzaro, il procuratore Gratteri ha detto: «Ci sono tante anomalie e tante omissioni da parte di tanti. Quello che più mi fa rabbia – ha aggiunto – è il fatto che si sia consentito a detenuti ‘ndranghetisti di Cosenza di restare per anni a Cosenza: qual è stata la logica di tenere pericolosi ‘ndranghetisti di Cosenza nella stessa città?».
«Con questa operazione – ha proseguito il procuratore – non solo informiamo l’opinione pubblica che non guardiamo in faccia a nessuno, ma portiamo all’attenzione il fatto che chi era preposto al controllo e doveva intervenire, cioè tutta la struttura gerarchica del dipartimento penitenziario, doveva intervenire ma non è intervenuto».
Gratteri ha poi osservato: «Mi auguro che questi arresti servano a costringere chi di dovere, dal direttore del carcere di Cosenza al direttore del Dap, a intervenire per fare un po’ di ordine, quantomeno nell’applicazione dell’ordinamento penitenziario, in modo che detenuti di alta sicurezza della stessa area criminale stiano a mille chilometri di distanza gli uni dagli altri e da Cosenza».
Nel corso di un’indagine particolarmente complessa, che abbraccia un lungo arco temporale, con riscontri che vanno dal 2009 al 2009, è stato delineato il contesto di un carcere di Cosenza davvero “in mano alla ‘ndrangheta”. Lo ha rimarcato, in conferenza stampa, lo stesso Gratteri, definendo quella odierna «una piccola indagine come numeri ma un’indagine importantissima, perché in primo luogo è stato fatto un grande lavoro di ricostruzione storica. Alcuni fatti contestati risalgono a diversi anni fa: con questo – ha aggiunto il procuratore capo della Dda di Catanzaro – voglio dire che se altri avessero letto le carte e le avesse messe in ordine, questa gente poteva tranquillamente essere arrestata 5-6-10 anni fa, perché si tratta di un ‘modus operandi’ che dura da sempre nel carcere di Cosenza. Ringrazio il collega Camillo Falvo e i carabinieri che hanno messo in ordine le dichiarazioni di collaboratori di giustizia che da anni ripetevano e hanno ripetuto che nel carcere di Cosenza la ‘ndrangheta – ha spiegato ancora Gratteri – poteva fare di tutto e di più. E purtroppo in questa vicenda ci sono state tante omissioni da parte di tanti».
Di «quadro a tinte fosche» ha parlato anche il comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri di Cosenza, Piero Sutera, che ha poi voluto rimarcare comunque «il comportamento assolutamente corretto e onesto della stragrande maggioranza degli agenti penitenziari, che hanno fatto pienamente il loro dovere esponendosi in alcuni casi anche a rappresaglie, come l’incendio dell’autovettura subito da un agente».
Alla conferenza stampa hanno infine partecipato anche il tenente colonnello Michele Borrelli, comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Cosenza, e il capitano Giuseppe Sacco, comandante del Nucleo investigativo dell’Arma cosentina.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA