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Il carcere di Castrovillari

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CASTROVILLARI (COSENZA) – Nuova aggressione in un carcere calabrese. Questa volta, un detenuto del carcere di Castrovillari ha aggredito un agente della Polizia penitenziaria allo scopo di sottrargli le chiavi del reparto. L’episodio è stato reso noto dal sindacato Sappe. «Si tratta di un episodio gravissimo – affermano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto e Damiano Bellucci, segretario nazionale del sindacato della polizia penitenziaria – che denota le precarie condizioni di sicurezza esistenti nelle carceri italiane, dove gli eventi critici crescono in maniera esponenziale. Infatti, e colluttazione e le aggressioni, dal 2016 al 2017 sono passate da circa 8.500 a oltre 9.500». «Tutto ciò – sostengono Durante e Bellucci – è avvenuto a causa di scelte politiche e organizzative scellerate che, negli ultimi anni, hanno portato alla progressiva riduzione degli organici e alla totale apertura dei detenuti, senza alcun adeguato controllo». 

«La situazione è sempre più tesa e pericolosa – proseguono – Purtroppo la Polizia Penitenziaria della Calabria è costantemente esposta a troppi rischi di questo tipo e per far fronte a criticità di questo tipo ci vorrebbe un’adeguata quantità di personale di Polizia per favorire e promuovere l’osservazione e la rieducazione, garantendo allo stesso tempo l’ordine la sicurezza e la tutela dei poliziotti. Pertanto auspichiamo la massima attenzione da parte dell’amministrazione penitenziaria e dagli organi di governo. Ormai non abbiamo più parole per descrivere le criticità delle carceri calabre e le conseguenti pericolose condizioni di lavoro di chi vi lavora, in primis appartenenti alla Polizia Penitenziaria».

Inoltre, «ogni giorno nelle carceri italiani succede qualcosa, ed è quasi diventato ordinario denunciare quel che accade tra le sbarre», denuncia Capece. «Ogni giorno giungono notizie di aggressioni a donne e uomini del Corpo in servizio negli Istituti penitenziari del Paese, sempre più contusi, feriti, umiliati e vittime di violenze da parte di una parte di popolazione detenuta che non ha alcuna remora a scagliarsi contro chi in carcere rappresenta lo Stato. È mai possibile che nessuno, al Ministero della Giustizia e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, abbia pensato di introdurre anche per la Polizia Penitenziaria ed i suoi appartenenti, per fronteggiare ed impedire aggressioni fisiche e selvagge, strumenti come quelli in uso a Polizia di Stato e Carabinieri, ossia pistola “taser” e spray al peperoncino? Evidentemente le priorità erano e sono altre: come, ad esempio, consentire l’uso della sigaretta elettronica nelle celle o prevedere le “doccette” nei cortili passeggi per dare refrigerio ai detenuti durante i mesi estivi (dimenticandosi per altro, sistematicamente, l’adozione concreta di provvedimenti per il benessere del Personale di Polizia Penitenziaria, specie di quello che vive nelle Caserme…)».

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