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La statua dedicata a Sergio Cosmai

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COSENZA – «Il monumento ai killer di mio marito? Ogni volta che vengo a Cosenza passo ad ammirarlo». Tiziana Palazzo lo dice fin dal primo giorno: la statua dedicata a Sergio Cosmai, ubicata sulla rotatoria al termine dell’omonimo viale, è un obbrobrio perché già nella forma – tre sagome raffigurate nell’atto di sparare – non celebra il servitore dello Stato ucciso trentuno anni fa dalla ’ndrangheta, bensì i suoi assassini.

E ora che la stele è ridotta a un ammasso di ferraglia arrugginita, i suoi sospetti si traducono in certezza: «Propenderei per la totale rimozione del tutto. E a dire il vero, i cosentini dovrebbero risentirsi di quell’orribile monumento ai balordi».

Un monumento sfortunato, così come sfortunato è l’uomo al quale è dedicato: il direttore del carcere di via Popilia trucidato il 12 marzo del 1985 da un commando composto da Stefano Bartolomeo e Dario Notargiacomo, con il fratello di quest’ultimo – Nicola – in aggiunta. Appartengono a loro le tre sagome raffigurate nell’atto di premere il grilletto, ma l’opera – costata circa trentamila euro – era inizialmente avvolta da una lunga striscia in metallo con su inciso un aforisma a firma dello stesso Cosmai. La scritta è stata rimossa nell’ottobre del 2013 a seguito di un incidente mortale avvenuto proprio a ridosso della stele, circostanza che subito dopo ha attirato le attenzioni su quel manufatto affilato come una ghigliottina. Nel dubbio, il Comune ha deciso di rimuovere la scritta, promettendo di dare quanto prima una nuova sistemazione all’intero monumento: da allora, però, sono trascorsi tre anni e l’argomento è caduto nell’oblio.

Eppure, quando il 12 marzo del 2013 la statua viene posizionata al centro della rotonda, con un’inaugurazione solenne svolta alla presenza della stessa Tiziana e di suo figlio, sembra che quella cerimonia possa sanare finalmente una vecchia ferita. Nel corso degli anni, infatti, i familiari del direttore si sono lamentati spesso per la memoria corta della città in cui il loro congiunto aveva perso la vita nell’esercizio del proprio dovere. Una strada portava da anni il suo nome, ma la segnaletica poco prodiga di dettagli non era certo sufficiente a commemorare il sacrificio di un uomo che aveva pagato con la vita la sua scelta di legalità: ristabilire l’ordine all’interno della casa circondariale, privando boss e picciotti di privilegi assurdi quanto antichi.

È per questo che, all’epoca, decisero di fargliela pagare. Con colpevole ritardo, dunque, in quel 2013 Cosenza celebrava finalmente uno dei suoi martiri più eccellenti, ignorando però la maledizione fosse proprio dietro l’angolo. Alla demolizione del monumento ha fatto seguito, nel 2015, il trentennale dalla morte di Cosmai: un evento passato pressoché inosservato.

Non si tratta, però, di una trascuratezza squisitamente cosentina. A precisarlo è sempre la sua vedova: «Qui a Bisceglie – città natale di Sergio, ndr – piantarono una magnolia, subito dopo malaticcia e moribonda». L’aspetto più grave della vicenda, però, è rappresentato dalla mancata concessione dello status di “vittima della mafia”. È da trent’anni che la sua famiglia attende questo riconoscimento, ma a tutt’oggi, per lo Stato italiano, Sergio Cosmai è solo una “vittima del lavoro”. Incredibile, ma vero. Nel frattempo, i profili arrugginiti di Notargiacomo & co. sono ancora lì, posizionati al centro della rotonda. Ora sì che sembra un monumento ai killer, soltanto a loro.

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