4 minuti per la lettura
CASSANO (CS) – Il piccolo Cocò è stato ammazzato come se si trattasse del più feroce e incallito dei boss: con un colpo alla testa. Allo stesso modo del nonno, alla stessa maniera barbara con cui è stata uccisa anche la compagna di Giuseppe Iannicelli (LEGGI LA STORIA DI BETTY). A lui invece i killer hanno sparato, oltre che in testa, anche un colpo in fronte. Lo ha rivelato l’autopsia – almeno secondo le prime indiscrezioni trapelate al termine della perizia eseguita ieri stesso a Castrovillari.
Dunque: si conferma quanto già si era sospettato dall’inizio, da quando cioè il triplice omicidio di Cassano si è delineato come una esecuzione di tipo mafioso: il colpo alla testa prima di dare alle fiamme l’auto in cui si trovavano Peppe Iannicelli, la compagna Betty (Ibtissam) Taouss e Nicolino Campolongo, il bambino di tre anni noto a tutti con il simpatico nomignolo Cocò. L’esame autoptico è iniziato alle 13 di ieri pomeriggio, ed è andato avanti quasi fino alle 18. È stato, si è appreso, è stato abbastanza complesso. Ma forse meno delle aspettative che si erano create causa della pessima condizione dei resti. E, in effetti, non era atteso così presto l’esito della perizia – sebbene si tratti di un esito “non ufficiale” poiché sarebbe stato necessario prima identificare i resti e attribuirli alle tre vittime.
Ma è bastato il ritrovamento di ciò che rimaneva dell’utero per distinguere la donna dell’uomo. Ma anche i resti dell’arcata dentale di Giuseppe Iannicelli ha consentito di una prima attribuzione delle identità. Identità che va, comunque, comprovata attraverso l’esame del dna. In mattinata, infatti, i medici legali sono stati nel carcere di Castrovillari per prelevare la saliva dei genitori del bambino: Antonia Maria Iannicelli (che è anche figlia di Giuseppe Iannicelli) e Nicola Campolongo. Saliva dalla quale dovrà essere estratto il dna per la comparazione con i resti dei corpi trovati tra le lamiere dell’auto bruciata. L’esito dell’autopsia, confermando la modalità dell’esecuzione, conferma anche la matrice del gesto. Che si tratti di un regolamento di conti messo in atto dalla criminalità organizzata restringe il campo, ma non dice molto: Giuseppe Iannicelli aveva precedenti per spaccio e per questa ragione il resto della sua famiglia – la moglie Maria Rosa Lucera, le due figlie Simona e Antonia (per questo Cocò stava con lui) e i due generi Roberto Pavone e Nicola Campolongo, il cognato Antonio, il suocero Cosimo (deceduto in carcere) e il nipote Tommaso – è rimasta coinvolta nel blitz denominato “Tsunami”, dalla quale lui però era rimasto stranamente escluso. Ma finora la Dda che li accusava, li ha sempre definiti “vicini” ma non organici al clan degli Abbruzzese di Lauropoli. Ma ad oggi non è dato sapere se l’ordine di morte sia partito dai rivali della costa zingara o dal suo interno per appianare conti in sospeso. Ed è questo che vogliono scoprire i carabinieri del nucleo investigativo di Cosenza.
Intanto ieri sera oltre un migliaio di persone ha partecipato ieri sera alla fiaccolata promossa dalla Diocesi di Cassano allo Ionio e dall’amministrazione comunale per dire “No alla violenza e a ogni forma di vita che si nutre di malaffare”. La fiaccolata è partita da piazza Cappuccini e si è conclusa dopo aver percorso in silenzio le principali strade del borgo antico, in piazza San Eusebio, davanti la Cattedrale. Vi hanno partecipato rappresentanti dell’amministrazione comunale e di altre realtà del territorio, il presidente della Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa, quello della Provincia di Cosenza Mario Oliverio ed il presidente della Commissione anti ‘ndrangheta della Regione Calabria Salvatore Magarò. «Se stiamo qui – ha detto il vescovo di Cassano e segretario della Cei Nunzio Galantino – è per ritrovare la voglia di rimetterci in cammino; è per dire che, come non ha senso esaltarsi fino a perdere il senso della realtà, così non è possibile lasciare che bruci, come quei corpi carbonizzati che ho visto estrarre dalle lamiere domenica mattina, la voglia di continuare a camminare, a sperare e a sognare di tanta gente perbene. Nè io nè voi abbiamo il potere di far tornare a vivere i resti carbonizzati di Cocò nè quelli delle altre vittime. Un potere però ce l’abbiamo: di non rendere la morte una sorta di macigno che non lascia scampo a nessuno. Non siamo qui per esprimere un generico senso di pietà. Sarebbe troppo poco». E’ stata letta anche una lettera dal carcere nella quale la mamma di Cocò invita a “sforzarsi di non rispondere con la violenza”.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA