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“Fattore delta”: l’inchiesta sul terzo Megalotto della 106; lo sfogo di uno degli operai sulle richieste di estorsione


COSENZA – La Calabria «peggio della Sicilia». I due dipendenti della ditta di Udine, impegnata nei lavori del terzo megalotto della Ss 106 e vittima di estorsioni da parte della criminalità organizzata, avevano già avuto modo di incappare in situazioni analoghe lavorando in altre regioni d’Italia, ma mai in queste proporzioni.
È quanto emerge dalle intercettazioni contenute nel fascicolo dell’inchiesta “Fattore Delta”, condotta dalla Dia con il coordinamento della Dda di Catanzaro, che venerdì scorso ha portato all’arresto di 6 persone gravitanti nell’orbita della cosca Abbruzzese.

«Da altre parti c’è il rischio…ma qui è matematico (…) Cioè noi, qua, alla fine, siamo un ago in tutto il pagliaio», è lo sfogo di uno dei due raccolto dagli inquirenti, in riferimento al potenziale rischio, a loro dire maggiore che altrove, di essere raggiunti da richieste estorsive o intimidazioni. Nel caso in specie, le pretese estorsive avvenivano, come si è visto, attraverso fatture “gonfiate” rispetto agli importi effettivi dei lavori, grazie alla complicità di ditte compiacenti: la Calabria Lavori Srls, destinata alla fornitura materiale inerte, la C.M.I. Srl, per la fornitura di calcestruzzo, e la Smeda Srl, per il trasporto e lo smaltimento di terre e rocce da scavo. Le maggiorazioni sulle fatture altro non erano che il pizzo imposto per “stare tranquilli” e non avere problemi.
Al punto che, come racconteranno i dipendenti ai magistrati, sul cantiere di Trebisacce non c’era nemmeno bisogno del servizio di vigilanza: «Avevamo paventato tale richiesta a Salvo Antonio – spiegano -, il quale ci rispose che anche la sua ditta ne era sprovvista, ma che comunque non ce n’era necessità in quanto avevamo dato seguito alla richiesta estorsiva e quindi potevamo godere di una sorta di “protezione”. In effetti sul cantiere, nell’arco dei lavori, ad oggi non abbiamo mai subìto danneggiamenti o furti».

Figura centrale per la mediazione tra le società colluse e la cosca Abbruzzese, secondo la ricostruzione della Procura antimafia, era proprio Antonio Salvo, capocantiere della “Tre Colli Spa”. Un nome che, fino ad ora, era quasi del tutto sconosciuto alle cronache giudiziarie ma che, come emerso dalle indagini, era assai vicino agli ambienti criminali, vista la sua fitta rete di relazioni con esponenti dei clan. Tuttavia, il motivo del suo apparente anonimato è da ricercare proprio nell’estrema accortezza utilizzata negli spostamenti. A chi gli chiedeva, ad esempio, se stesse vedendo “i compari” – altro modo per indicare la famiglia Abbruzzese – rispondeva: «No, ci sto lontano…adesso non è cosa». Salvo sapeva bene, evidentemente, che in quel periodo in cui la cosca e, in particolare, il suo reggente Leonardo Abbruzzese alias “Castellino”, era sotto la lente costante delle forze dell’ordine, fosse bene non andare a trovarli né farsi vedere in loro compagnia.

Ma la sua cerchia di amicizie era estesa anche ai Forastefano, altra storica consorteria criminale della Sibaritide, attualmente confederata con gli Abbruzzese a seguito della “pax mafiosa” stipulata dopo sanguinose faide. È proprio a uno di questi soggetti – ritenuto contiguo ai Forastefano in virtù del fatto che fu individuato all’interno di una casa mentre partecipava a un summit di ‘ndrangheta con i vertici del clan – che Salvo chiese il favore di anticipargli, insieme al fratello, una somma di denaro che gli sarebbe servita per l’acquisto di un Iphone 14 del costo di 1470 euro. Il telefono era, in realtà, un regalo per Mario Suma, responsabile della società “Snam Rete Gas Spa”, indagato in “Fattore Delta” e per il quale la Procura aveva chiesto l’arresto, richiesta rigettata dal gip.
A cosa serviva quel regalo? È lo stesso Salvo a spiegarlo all’amico: «A questo gliela devo fare la cortesia perché sennò non mi firma la contabilità, hai capito? Gli devo fare mettere delle “cose in più” che sono i regali miei, il tuo e di quant’altro».

Un “pensiero”, insomma, finalizzato a convincere Suma ad avallare il pagamento delle fatture false riportate nello stato di avanzamento dei lavori “Sal”, relativo al metanodotto che la “Tre Colli Spa” stava realizzando a Trebisacce. Le “cose in più” altro non erano che le spese fittiziamente sostenute per lavori mai eseguiti. Lo stesso avrebbe fatto, promettendogli anche il pagamento di una quota di 20mila euro in cambio della falsificazione dei certificati Sal relativi allo smaltimento dell’acqua. Per questa ragione, Salvo dovrà rispondere, oltre che di estorsione aggravata dal metodo e dalla finalità mafiose, anche del reato di istigazione alla corruzione.

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