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COSENZA – Dario Brancaleone lascia i domiciliari e torna in libertà; Francesco Casella e Claudio Alushi abbandonano il carcere e vanno laddove Brancaleone non è più. A stabilirlo, ieri, sono stati i giudici del Riesame, modificando così le misure cautelari disposte nell’ambito di “Testa del serpente”, l’inchiesta antimafia che fotografa, seppur in chiaro scuro, l’assetto attuale delle cosche cosentine con i nuovi capi in primo piano (I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE).
In tal senso, i tre indagati in questione risultano in posizione più marginale, con il solo Brancaleone in primo piano, in virtù del lavoro da lui svolto – il poliziotto – e delle accuse che gli muove la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro: aver passato informazioni riservate alla famiglia Abbruzzese alias “Banana”, centrale nella vicenda giudiziaria. Il provvedimento di ieri, per quanto lo riguarda, rimette tutto in discussione. Sia lui che Alushi erano difesi dall’avvocato Paolo Pisani; a rappresentare Casella, invece, c’erano l’avvocato Antonio Quintieri e lo studio legale Bugliari-Tomeo.
L’indagine contempla una serie di reati tutti aggravati dalle modalità mafiose e che spaziano dagli omicidi – diversi tentati, uno riuscito – alla droga, passando per usura, armi ed estorsioni. Proprio quest’ultime, alcune delle quali particolarmente brutali, avevano suggerito agli investigatori di accelerare i tempi dell’operazione, ritardata di alcuni giorni a seguito di una misteriosa nonché inquietante fuga di notizie.
Nuovo assetto dicevamo, che si colloca, però, sulla scia di quelli precedenti, con il clan degli italiani – in particolare il gruppo Lanzino-Patitucci – rappresentato da Roberto Porcaro e quello degli zingari dalla famiglia Abbruzzese intesa come “Banana” che, allo stato attuale, sarebbero un’organizzazione unica dotata, peraltro, di una bacinella comune. Conclusioni a cui carabinieri, guardia di finanza e polizia, coordinati dal magistrato Camillo Falvo sono giunti sia grazie ad attività d’indagine classiche – pedinamenti, intercettazioni e riprese video – che in virtù del contributo di numerosi pentiti, ma in particolare di Celestino Abbruzzese alias “Micetto”, che, insieme a sua moglie Anna Palmieri, diventata pure lei collaboratrice di giustizia, ha contribuito a in modo decisivo a mettere nei guai la propria famiglia.
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