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CASTROVILLARI – È il grande giallo del calcio italiano. E la domanda che da anni tormenta i familiari e i tifosi del Cosenza calcio: chi ha voluto Donato Bergamini morto? E soprattutto: perché? Ma oggi da quel tragico episodio e da quel passato qualcosa riaffiora. Un qualcosa che potrebbe dare un nuovo impulso alle indagini: il camionista Raffaele Pisano, dimenticato da tutti al punto da essere considerato morto, l’autotrasportatore che avrebbe involontariamente investito Bergamini, che aveva deciso di uccidersi, l’uomo uscito due volte assolto dai precedenti processi per omicidio colposo è vivo. Facciamo un passo indietro.
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È una Cosenza, quella della metà degli anni Ottanta, nell’aspetto più grigia di quella attuale, ma nella sostanza più scintillante, più allegra; con i suoi commercianti, i suoi piccoli burocrati, i suoi politici e il calcio. Su tutto la sua piccola criminalità organizzata, subalterna alle potenti organizzazioni del reggino e del cirotano. In questa Cosenza arriva, nel 1985, Donato Bergamini, detto Denis, il centrocampista di Boccaleone d’Argenta (Ferrara), in tempo per vivere la stagione d’oro del club dei Lupi che con le nuove risorse finanziarie procurate da Giuseppe Carratelli prima, e Antonio Serra poi, come presidenti, si può permettere allenatori come Gianni Di Marzio e Bruno Giorgi e calciatori (portati dal direttore sportivo Roberto Ranzani) del calibro di Alberto Urban e Michele Padovano (quel Padovano poi passato al Napoli, al Genoa e alla Juve che verrà – ma anche questa è forse un pura coincidenza – accusato di traffico internazionale di stupefacenti). Sulla brillante ascesa della squadra (in serie B) aleggia l’ombra delle partite combinate e della droga. Voci che, si badi, non si sono mai concretizzate in fatti o episodi specifici. Essere calciatore, già all’epoca, significa frequentare l’ambiente più luccicante della città in cui non manca la cocaina e il sesso: quello con le minorenni e quello con le donne più in vista. Il dorato mondo del calcio, quello della politica e del malaffare si intrecciano in un tutt’uno. Ed è in questo contesto, o almeno è su questo sfondo, che il 18 novembre 1989, mentre è in ritiro con la squadra e mentre si trova con gli altri giocatori rossoblu al cinema Garden di Rende, in vista della partita contro il Messina, il calciatore ventisettenne abbandona la squadra. E comincia il mistero. Michele Padovano, suo compagno di stanza, racconta che Denis ricevette una telefonata verso le 15 e 30 che lo «turbò moltissimo». Il centrocampista Sergio Galeazzi ricorda di averlo visto uscire dalla sala prima che il film iniziasse, dunque verso le 16.
La ragazza, a quel punto, richiamava il Bergamini convincendolo a desistere e tornare a Cosenza, quando in quella circostanza la Statale 106, con direzione Taranto, veniva percorsa dall’autocarro Fiat 180 condotto da Pisano Raffaele, il quale aveva visto l’auto fuori strada e una persona che vi stava davanti. Appena il pesante autocarro era giunto in corrispondenza della Maserati, Bergamini repentinamente si è lanciato buttandosi sotto la ruota anteriore del mezzo trascinandolo in avanti. Mentre il conducente del camion arrestava la marcia, la ragazza metteva in moto la Maserati e raggiungeva il mezzo credendo di trovare in vita il Bergamini e prestargli soccorso; la stessa cosa veniva pensata dal conducente Pisano Raffaele, che arrestato il mezzo, manovrava in retromarcia credendo di poterlo salvare, quando veniva raggiunto dalla ragazza, la quale ebbe a dirgli: «E’ il mio ragazzo. Si è voluto suicidare». Dopo di ciò la ragazza con un mezzo di passaggio si era portata a Roseto Capo Spulico Marina (nel bar di Mario Infantino per telefonare) mentre il conducente ha atteso l’arrivo dei carabinieri, mettendosi completamente a disposizione della giustizia».
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