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Sarebbe Mario Infantino l’ultimo ad essere passato dagli uffici della Procura di Castrovillari per raccontare la sua versione dei fatti sui minuti successivi alla morte dell’ex calciatore del Cosenza, Denis Bergamini. Poi nel 2012 dovrebbe toccare a Roberto Ranzani e Luigi Simoni, per poi passare dagli altri compagni di squadra del centrocampista di Boccaleone d’Argenta sulla cui morte la procura guidata da Franco Giacomantonio ha aperto una nuova inchiesta con l’intento di dimostrare che non fu suicidio ma «omicidio volontario». Anche se il procuratore capo e il sostituto Larissa Catella avrebbero previsto la possibilità di sentire i testimoni “a domicilio”, per evitare che questa delicata fase venga seguita dalla stampa.

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Infantino, il titolare del bar di Roseto Capo Spulico, dove l’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò, andò a telefonare al tecnico Gigi Simoni, al calciatore Francesco Marino, e alla madre, sarebbe invece stato sentito in Procura. Cosa abbia detto ai magistrati non è dato saperlo, ma è probabile che abbia riferito quanto ha ripetuto di recente ai giornalisti di Sky Sport, “aggiornando” la sua versione sull’orario in cui la ragazza, accompagnata da un uomo, non identificato, si presentò al bar a bordo di una Ritmo o di una Golf: non potevano essere le 19 e 30, come verbalizzato dai carabinieri, ma molto prima visto che: «era ancora giorno e fuori si vedeva bene».

Un particolare assai rilevante che, se verificato, potrebbe sgretolare l’intera ricostruzione dei fatti presa per buona nei due processi che sentenziarono il suicidio del giovane e costruita sulle dichiarazioni dei testimoni chiave: la ragazza e il camionista. Nei prossimi giorni dovrebbe toccare al direttore sportivo del Cosenza calcio all’epoca dei fatti, Ranzani che conosceva molto bene Denis e la sua famiglia e si recò sul luogo dell’incidente appena ne ebbe notizia. È stato lui a portare a la padre di Denis, Domizio Bergamini, i mocassini Tod’s che il figlio quel pomeriggio portava ai piedi e che oggi, in mano ai Ris di Messina, raccontano che non ci fu il trascinamento del corpo da parte del camion che lo investi, come invece raccontò l’autista del mezzo. In un’intervista al Resto del Carlino, Ranzani aveva raccontato: «Erano quasi le otto di sera, eravamo in albergo e Denis non c’era. Lo cerchiamo, in camera, dappertutto, ma niente. Poi chiamano al telefono Gigi Simoni e l’ex fidanzata gli dice che Denis si è buttato sotto a un camion a Roseto. Ma come, dico io, a 100 chilometri da qui? Prendo Pini (l’allenatore Sergio Pini, vice di Gigi Simoni, ndr) e saliamo in macchina, non ci volevo credere. Dico ai ragazzi: “Se è uno scherzo ditemelo subito”, invece era così. Quando sono arrivato, Denis era ancora a terra, testa rivolta all’asfalto, aveva le scarpe ai piedi. Pulito. Chiedo della ragazza e mi dicono che è dai carabinieri, vado là e appena mi vede mi si butta tra le braccia e dice: “Voleva andare via, scappare all’estero”. Bergamini aveva 52 milioni in banca e quando è morto aveva 700mila lire in tasca: uno che scappa, prima passa a ritirare tutti i soldi, o no?». Su che cosa potrebbe essere successo, Ranzani ha meno certezze: «Non lo so, secondo me lui aveva un appuntamento con lei, l’ex fidanzata, ma non lo voleva far sapere, sarebbe tornato in albergo, nessuno se ne sarebbe accorto e invece… tutti noi non abbiamo mai creduto che si fosse ammazzato, ma che cosa potevamo fare? Forze dell’ordine e magistratura avvaloravano la tesi del suicidio…».

Alle ipotesi del traffico di droga o del totonero Ranzani però non crede: «Tutte balle per me. Ma chi compra un giocatore per corromperlo prende un difensore, un portiere o una punta, mica un centrocampista come lui. Un ragazzo stupendo; puntualissimo e determinato, con grinta e voglia di vincere. Non ho mai dubitato di lui, non ne avevo motivo. Io so questo e questo racconterò. Denis avrebbe potuto fare cose molto importanti nel mondo del calcio». Poi toccherà a Simoni, l’ex portiere, amico fraterno di Denis, con il quale ha condiviso l’appartamento prima che il ferrarese andasse a vivere in casa con Michele Padovano. Il portiere non crede al suicidio, ma non si spiega il perché dell’omicidio: esclude droga e partite truccate.

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