Bruno Pace, il primo a sinistra, sulla panchina del Catanzaro
2 minuti per la letturaAveva 74 anni e arrivò al Catanzaro nel 1981
CATANZARO – Sigaretta ad un angolo della bocca, abbronzatura da tropici anche in pieno inverno e immancabile bicchiere di whisky ad accompagnare un sorriso sornione. Sarebbe lo stereotipo del perfetto attore, maledetto ed un po’ demodè. Era invece il consuetudinario look di Bruno Pace, di mestiere allenatore (e prima ancora calciatore). Nato a Pescara nel 1943, se n’è andato ieri, a 74 anni, per complicanze polmonari dopo un infarto (in basso una sua foto recente). Ha legato il suo nome al Catanzaro degli anni migliori, quelli della Serie A, dove era arrivato dopo gli anni da calciatore.
Faceva parte della rosa di quel Bologna che “faceva tremare il mondo” vincitore dello scudetto nel 1963/64. Dopo un paio di esperienze in serie minori, Pace tornò poi a Bologna da protagonista e famose sono, di quegli anni, alcune avventure che lo contrapposero al mago di Turi, al secolo l’indimenticabile tecnico barese Oronzo Pugliese. Come le volte in cui si travestiva per riuscire a saltare gli allenamenti o le volte in cui evadeva dalle finestre durante i lunghi e spesso monotoni ritiri. In mezzo donne, avventure e gol. Tanti gol al punto da vincere una Coppa Italia e diventare un idolo dei tifosi felsinei. Passati gli anni d’oro, dopo un gran rifiuto di trasferirsi alla vicina Cesena per una molto più intrigante Palermo, e dopo un anno a Verona, Pace finì nelle serie minori per intraprendere subito la carriera da allenatore iniziata con un nuovo trionfo con il Modena portato dalla C2 alla C1.
Nel 1981/82 arriva, a sorpresa, la chiamata del Catanzaro in massima serie. Con lui alla guida, il Catanzaro arrivò ad un settimo posto in A (a 16 squadre) che, con i tempi che corrono sarebbe valso come minimo una Europa League. Un’annata straordinaria dopo la quale faticò a ripetersi. Sedette, tra le altre, anche sulle panchine di Pisa, Ancona, Catania, Bologna fino ad abbandonare il mestiere da allenatore ma non quello da acuto osservatore delle cose del mondo che lo ha accompagnato fino all’ultimo dei suoi giorni
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