Elena Sofia Ricci e il regista Carlo Carlei durante una pausa sul set di "Fiori sopra l'inferno"
4 minuti per la letturaUN SUCCESSO la prima puntata della nuova attesa miniserie Tv, divisa in 6 episodi e firmata dal regista lametino Carlo Carlei. “Fiori sopra l’Inferno”, il romanzo bestseller di Ilaria Tuti, è arrivata, infatti, in versione fiction in prima serata su Rai1, con il primo episodio andato in onda lunedì 13 febbraio, seguita da 4.800.000 spettatori pari al 25,5% dello share televisivo con punte nel finale fino al 32%.
Un ottimo esordio, dunque, per “Fiori sopra l’inferno” di Carlei. Dopo la miniserie Tv su Rai1 “La fuggitiva” della primavera 2021 e i film tv diretti per la Rai (“Il giudice meschino”, “I bastardi di Pizzofalcone” “Il Confine” ) e le precedenti miniserie Tv con Canale 5, tra cui “Padre Pio” e “Ferrari” oltre ai successi cinematografici con “Capitan Cosmo” (1991), “La corsa dell’innocente” (1992), “Fluke” (1995), “Romeo & Juliet” (2013), è approdato quindi su Rai1 un altro lavoro diretto da Carlo Carlei, questa volta con protagonista Elena Sofia Ricci che interpreta Teresa Battaglia, un’esperta profiler di quasi sessant’anni che, arrivata in una città delle Dolomiti friulane, assieme alla sua squadra, composta dall’ispettore capo Giacomo Parisi (Gianluca Gobbi) e dal giovane Ispettore Massimo Marini (Giuseppe Spata), deve combattere due nemici: un serial killer a cui dà la caccia e l’Alzheimer. E già c’è attesa per la seconda puntata che andrà in onda lunedì 20 febbraio su Rai1 alle 21.30. Carlo Carlei parla del suo ultimo lavoro e non solo al Quotidiano del Sud.
Come e perché nasce “Fiori sopra l’inferno”?
«Avevo letto il romanzo di Ilaria Tuti appena era uscito nelle librerie e mi era sembrato perfetto per essere adattato in una serie o un film. Il personaggio di Teresa Battaglia era unico e originale e la presenza di vari bambini era un tocco vincente perché contrastava con le atmosfere cupe del genere thriller. Purtroppo all’epoca i diritti erano già stati acquistati così mi dedicai ad altri progetti. Tre anni dopo mi chiamò la produttrice Verdiana Bixio e mi offrì di dirigere la serie. Accettai ma alla condizione di riscriverne l’adattamento per conformarlo alla mia sensibilità e idea di cinema. E così è nata la serie che viene trasmessa in questi giorni da Rai Uno».
Ci parli del cast.
«Appena sono entrato nel progetto ho chiesto alla produttrice di mandare il libro ad Elena Sofia Ricci, che avevo conosciuto quando eravamo entrambi giovani di belle speranze. Poi però non avevamo mai lavorato insieme, anche se l’ho sempre ammirata per la sua intelligenza ed ecletticità. Nessuna come lei avrebbe potuto calarsi nel personaggio di Teresa Battaglia con tanta naturalezza e credibilità».
In quale aspetto si riconosce di più lo “stile” Carlei in “Fiori sopra l’inferno”?
«Fin dal primo film sono sempre stato attento a tematiche inerenti all’infanzia e alle sue problematiche, sia quelle interiori sia quelle provocate dal contesto familiare e sociale in cui un bambino nasce e cresce. Quindi poter approfondire come in questo caso le conseguenze di un’infanzia violata mi ha stimolato molto e spinto a ritornare nei territori de “La corsa dell’innocente”, nel quale un mondo brutale veniva percepito attraverso il “senso di meraviglia” di un bambino».
Ha in progetto il ritorno al cinema?
«Sì. Sarebbe ora…»
Quanto è cambiato il suo lavoro, se è cambiato, con l’avvento delle piattaforme digitali?
«Il mio lavoro non è cambiato in quanto ad ispirazione e stile. Cambia necessariamente il metodo di lavoro, dovendosi ahimè adattare a modalità lavorative sempre più veloci e penalizzanti. In quel caso talento e mestiere aiutano a portare a casa buoni risultati ma è un peccato che un processo che dovrebbe essere soprattutto creativo sia ormai diventato una vera corsa contro il tempo».
Il prossimo lavoro? Ci sta già lavorando?
«Nel mio lavoro non si sa mai veramente quale sarà il prossimo progetto. Se ne sviluppano magari una decina contemporaneamente e poi alla fine parte prima quello che meno ti aspetti».
A Lamezia il cinema, dopo che era stato riaperto, tra l’altro proprio lei fu invitato dall’allora sindaco Gianni Speranza alla riapertura nel 2015, è stato nuovamente chiuso sei anni fa. Cosa ne pensa?
«Ne penso tutto il male possibile. Perché evidentemente la cultura non fa guadagnare tanto quanto la vendita di alcolici ai nostri giovani che la sera si aggirano da un angolo all’altro senza una meta interiore né uno stimolo che non sia altro che quello di mostrarsi. È un peccato mortale e la responsabilità è soprattutto politica perché stiamo facendo crescere le nuove generazioni in un mondo gretto e superficiale. Io della mia adolescenza mi porto nel cuore i film e i libri che ho amato, non certo l’effimera esperienza di un aperitivo consumato in piedi mentre mi guardo intorno senza conoscere un altro modo per nobilitare la mia esistenza».
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