Franco Fasano, tra i più importanti cantautori italiani
6 minuti per la letturaFALERNA (CATANZARO) – Questa sera Franco Fasano presenterà il suo libro “Io Amo”, presso l’hotel Eurolido di Falerna (Catanzaro), nell’ambito della conferenza internazionale IEEE su scienza e tecnologia dei sistemi Cyber, organizzata dal professor Giancarlo Fortino dell’Università della Calabria.
Eccellenza del cantautorato italiano, Fasano accompagnerà il pubblico in un viaggio attraverso i più grandi successi della storia musicale del nostro Paese come “Io Amo”, “Mi manchi”, “Ti lascerò”, “Regalami un sorriso”, “Colpevole” passando per i grandi classici dello Zecchino d’Oro come “Goccia dopo goccia”, “Il Katalicammello”, “L’Inno del Girino”. Per saperne di più, abbiamo intervistato il maestro Fasano.
Dopo tanti successi, chi è oggi Franco Fasano?
«La musica è diventata la colonna sonora della mia infanzia, della mia adolescenza e anche della mia maturità. Non finirò mai di ringraziare il destino che è passato dai consigli di mio padre, al quale dedico il mio libro. Oltre a portarci alla memoria una delle canzoni più importanti che ho scritto, arrivata al cuore della gente, questo è anche un mio atteggiamento di vita. Tutte le cose che ho fatto, alcune andate a buon fine altre meno, hanno forgiato la mia personalità. Sono riuscito a fare della mia passione un mestiere, quasi senza rendermene conto, con caparbietà, volontà e, soprattutto, serietà e rispetto nei riguardi delle persone che ho incontrato. Grazie a un’intuizione di Massimiliano Beneggi, ciò che ho vissuto è sintetizzato in questo libro».
La passione per la musica è nata sin da bambino. Già all’età di 13 anni ha creato la sua prima band.
«Esatto. A soli 11 anni, già cantavo. Mio padre, un visionario, aveva organizzato un concorso per la creatività dei bambini e scelse il teatro Ariston che, a quei tempi, era soltanto un cinema. Ogni tanto, facevano qualche spettacolo ma non era l’ambito palco che è diventato oggi per la musica italiana». L’insegnamento più grande che ha ricevuto nella sua carriera? «Frequentare sempre le persone più brave di me».
Chi sono i maestri che ha incontrato nel suo cammino?
«Da ragazzino, ho conosciuto il maestro Simonetti, un grandissimo musicista. Era come prendere Stefano Bollani, Pippo Baudo, Amadeus, Peppe Vessicchio per poi shakerarli e così veniva fuori Enrico Simonetti. La persona più nota e importante è il maestro Pippo Barzizza per quanto riguarda l’impostazione mentale del mio modo di scrivere e di rapportarmi alla musica. La musica, seppur leggera, è da prendere seriamente, solo così ci si ritrova ad essere padroni dei propri pensieri. Poi, ci sono Giancarlo Bigazzi e Salvatore De Pasquale. Devo molto al chitarrista Pinuccio Pirazzoli; vedendo come lavorava in studio, ho assorbito l’aspetto ritmico in certe canzoni. Tutto ciò mi ha portato ad essere pronto quando ho incontrato Bruno Lauzi e tanti altri».
Com’è nato il brano “Io amo” e quando è scoccata la scintilla artistica con Fausto Leali?
«È stata abbastanza casuale. Abbiamo scritto il brano in un paese immerso nella nebbia. Se questa canzone è arrivata a Fausto Leali il merito è di Toto Cutugno che, in quel periodo, lo aveva preso sotto la sua ala artistica sostenendo che la sua voce non potesse rimanere nascosta».
I miti della canzone, che da ragazzino ammirava nelle foto di suo padre, sono diventati gli interpreti dei suoi brani. Che cosa significa per lei essere un punto di riferimento del cantautorato italiano?
«Artisti come Fausto Leali e Mina sono stati delle conferme. Sentirsi punto di riferimento di queste grandi voci sarebbe uno slogan. Il punto di riferimento è la musica italiana che, oggi, vogliono far passare come vetusta. Sono convinto che è solo questione di tempo e di spazi, però la musica e il nostro atteggiamento, resta sempre il marchio di fabbrica di uno stile».
Immagino che per un cantautore e/o un interprete, la cosa più importante è sapere che i propri brani possano rimanere immortali. A distanza di anni, anche i bambini ascoltano e cantano canzoni scritte e interpretate anni fa.
«Il vero premio è questo. A volte, i ragazzi magari mi guardano chiedendosi da quale pianeta arrivo, non riconoscendo il mio volto. A seconda del mio pubblico, sfodero dei titoli di fronte ai quali le loro facce diventano meravigliose e incuriosite. E poi canto con loro le canzoni di Cristina D’Avena e dello Zecchino d’Oro, mentre con i loro genitori e nonni canto i brani del mio debutto, interpretati dai grandi nomi della musica italiana. Questo è un bel parametro di soddisfazione».
Il ricordo più bello della sua carriera?
«L’ultima emozione forte l’ho vissuta questa estate in una serata improbabile che mi è capitato di fare vicino Livorno durante la presentazione del mio libro. Una bambina mi guardava estasiata. Le ho chiesto quanti anni avesse e mi ha detto due anni. Ed io ho risposto che non era possibile così lei ha rettificato: no scherzo, due e mezzo. Quando le ho domandato quanti ne dava a me, la bambina ha affermato 10 anni. È tutto relativo. Si potrebbe scrivere un film su questa storia. Eppure, è nata per sbaglio dalla spontaneità di un bambino. Se vengo in Calabria in questa occasione, lo faccio perché mi ci ha portato il destino scrivendo per i bambini».
Il suo libro verrà presentato in occasione della conferenza organizzata dal professor Fortino. Come ha accolto l’invito?
«Verrò in Calabria perché uno dei miei più incredibili interpreti è stato Carlo Antonio Fortino, figlio di Giancarlo. Mi fa piacere che l’ingegner Fortino abbia pensato a me, non solo come padre del bimbo che cantò una mia canzone allo Zecchino d’Oro, ma anche per il rapporto che abbiamo coltivato in questi anni. La tecnologia nel mondo della musica deve sempre rimanere al servizio dell’emozionalità. Le cose buone che si sono fatte in passato devono essere digitalizzate per rimanere nel tempo».
Sta continuando a scrivere?
«Si, si. Il mio prossimo, spero, successo parteciperà alla nuova edizione dello Zecchino d’Oro e si intitola “L’acciuga raffreddata”, posso dirtelo perché è già stato pubblicato ma non posso cantartelo altrimenti lo impari subito. L’ho presentata per due anni. In tempi di Covid, hanno avuto paura a prenderla il primo anno (ride, ndr). Per il provino avevo scelto Carlo Antonio».
Un consiglio per i giovani che vogliono intraprendere una carriera nel mondo dello spettacolo?
«Molti ragazzi sono abituati ad ottenere tutto e subito senza sacrificio, ma sono aiutati anche dai mezzi che glielo consentono. Oggi, ci sono le visualizzazioni a farti diventare importante e a trasformare in denaro la curiosità di chi ti ascolta. Sono cambiati i parametri rispetto al passato. Il consiglio che posso dare è che l’aspetto economico deve essere un premio per ciò che fai, non il motivo per cui lo fai. La musica, a differenza di tanti altri lavori, non è qualcosa che smetti di fare quando scatta l’orario. Quando meno te lo aspetti, può venirti in mente una canzone o arrivare un’idea che può veramente cambiarti la vita. Poi, ci vuole molta fortuna. Non finirò mai di raccontare la storia di mio figlio Emanuele, un pianista speciale. Se non avesse preso lezioni da una bravissima maestra, oggi non sarebbe padrone della tecnica pianistica. Mi piace il fatto che da quello che scrive esce fuori il suo carattere. Ed è questo che fa la differenza».
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