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CATANZARO – La ricerca scientifica – finalmente – al centro dell’attenzione pubblica “grazie” al nuovo ceppo di Coronavirus. Chi di ricerca si occupa da tempo e ne esalta le attività è il professore Giovanni Cuda, direttore del centro di ricerca di Biochimica e Biologia Molecolare Avanzata, Coordinatore del dottorato di ricerca in Oncologia Molecolare e Traslazionale e Tecnologie Medico-Chirurgiche Innovative presso il dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Umg, ateneo per il quale ricopre anche il ruolo di delegato alla ricerca.
Presidente, inoltre, del polo di innovazione per le Tecnologie della Salute “Biotecnomed”, il professor Cuda da circa un mese è stato indicato dal Ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, quale nuovo componente della Commissione di Esperti per la redazione del Programma Nazionale per la Ricerca (Pnr) nel settore Salute 2021-2027.
Professore, la biologia molecolare è alla base della ricerca scientifica. Sappiamo come la sequenza del SARS-COV-2 continui a mutare, oggi come si presenta?
«Purtroppo fino ad ora le mutazioni non sono state tali da impattare sulla contagiosità. Il virus si è mantenuto molto aggressivo anche se sembrerebbe che negli ultimi tempi sia diventato un po’ “più buono”, un termine che vorrei comunque prendere con le pinze almeno finché non se ne avrà una contezza concreta».
È il virus ad essere diventato più buono oppure è una conseguenza delle disposizioni anti contagio?
«Entrambe le cose. Ricordiamo che l’obiettivo del virus è quello di sopravvivere, dunque, penetrando in un organismo, non avrebbe alcuna intenzione di ucciderlo. Per questo, la soluzione migliore per un virus, è quella di equilibrare la sopravvivenza di entrambi. Quello che succede o succederà, è una possibile modifica del genoma virale alla quale corrisponderà una risposta immunitaria migliore da parte degli individui».
Nell’ambito della ricerca quali passi ha mosso l’Università di Catanzaro?
«Devo dire che, in questa fase, l’attività dell’ateneo è stata e continua ad essere molto vivace in tutti i comparti. Abbiamo sfruttato, ad esempio, le informazioni raccolte dal reparto Covid del Policlinico per estrarre dei lavori che sono già stati pubblicati. C’è una fervida attività di ricerca sia sotto l’aspetto molecolare, quindi d’indagine sulle caratteristiche e proprietà aggressive del virus e su come modularle, ma anche nel campo clinico e dunque come i pazienti rispondono al trattamento. Interessanti studi sul management della malattia sono stati altresì condotti dal Dipartimento di Economia. Insomma, sono molto soddisfatto ed orgoglioso del lavoro della nostra università».
Negli scorsi giorni ha rivolto un appello diretto all’assessore regionale e collega Sandra Savaglio in merito al lavoro della comunità scientifica calabrese. Oggi quali rispose ha ottenuto?
«Questo periodo è testimone di quanto sia importante la ricerca di base per le malattie. L’appello alla collega Savaglio – appello al quale, tra l’altro, con non poco dispiacere, non ho avuto risposta alcuna – si poneva in analogia a quello che è stato fatto in altre regioni. Chiediamo solamente che la Calabria tenga presente che esiste una comunità scientifica molto attiva che opera su questo ambito ed ha delle ottime competenze. Io non chiedevo milioni di euro a progetto, bensì un bando per piccoli progetti che, naturalmente su base competitiva, venissero affidati a chi veramente interessato. Ma non possiamo permetterci di attendere ancora. Parliamo di un incentivo per chi decide di restare, per i giovani ricercatori. Il “Decreto Rilancio” prevede 5mila nuovi posti per ricercatori a tempo determinato nelle università, non ricordo un piano Marshall così importante, si sta cercando di allargare la base di questa piramide ma se a queste risorse non si affianca una mole di finanziamenti allora giriamo a vuoto».
Come proseguono i lavori per la stesura del Pnr?
«Il ministro Manfredi, con il quale abbiamo discusso su come questo Pnr debba essere, vuole un piano che non abbia dentro qualunque cosa: un certo numero di progetti sui quali la scienza e la cultura italiana è già forte. Forse, per la prima volta, il progetto mi sembra virtuoso. Stiamo cercando di focalizzarci su quegli argomenti su cui siamo più forti: dalla lotta al cancro alle neuro-scienze, ma anche medicina rigenerativa e trapianti d’organo, tutto facendo uso di strumenti innovativi».
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