Giorgio Sesti
3 minuti per la letturaCATANZARO – Le scoperte di una equipe calabrese gettano nuova luce su alcuni dei segreti del diabete. Il team italiano guidato da Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di diabetologia e ordinario di Medicina interna all’Università Magna Graecia di Catanzaro, ha, infatti, portato a scoprire come nelle persone a rischio di diabete prima ancora che la malattia dia chiari segni di sé la glicemia si impenna dopo i pasti; un fenomeno da tenere sotto controllo, visto che queste oscillazioni dei livelli di glucosio nel sangue provocano nel tempo importanti danni sia a livello del sistema cardio-vascolare sia alle piccole arterie della retina, dei reni, dei nervi.
Dopo diversi test e anni di studio arriva la possibile spiegazione scientifica di questo fenomeno: alcune persone assorbono più rapidamente e in maggior quantità di altre gli zuccheri della dieta a causa dell’esuberanza del Sglt1, un trasportatore specializzato nell’assorbimento del glucosio a livello del duodeno.
La scoperta dell’equipe calabrese, pubblicata sul ‘Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism’, è frutto del lavoro dello stesso team che un paio di anni fa aveva dimostrato come le persone con la glicemia superiore a 155 mg/dl ad alla prima ora della curva da carico di glucosio (che si effettua facendo bere una bevanda contenente 75 grammi di glucosio) hanno un rischio di sviluppare diabete conclamato maggiorato del 400% entro i successivi 5 anni, rispetto a chi mostra valori inferiori a questa soglia (LEGGI PIÚ INFORMAZIONI SULLA NOTIZIA CLICCANDO QUI).
«La nuova ricerca – afferma Sesti – aiuta a comprendere perché queste persone a rischio di diabete presentano elevati livelli di glicemia dopo i pasti. L’assorbimento intestinale del glucosio introdotto con gli alimenti avviene prevalentemente nella prima porzione dell’intestino, cioè nel duodeno. A questo livello il glucosio, grazie a uno speciale ‘trasportatorè, l’Sglt-1, attraversa la parete intestinale per raggiungere la circolazione sanguigna”.
Il gruppo di Sesti ha osservato che i soggetti con Ngt-alta glicemia ad 1 ora (normale tolleranza al glucosio ma con valori di glicemia superiori a 155 mg/dl, a rischio di sviluppare il diabete) e le persone con diabete tipo 2 presentano aumentati livelli di Sglt-1 nel duodeno, dimostrando che è proprio l’eccessivo assorbimento intestinale del glucosio la causa dell’iperglicemia post-prandiale.
La nuova ricerca ha preso in esame 54 individui, sottoposti a curva da carico orale di 75g di glucosio e ad esofago-gastro-duodenoscopia con biopsie della mucosa duodenale sulle quali è stata misurata la quantità del trasportatore del glucosio Sglt-1.
«La scoperta che i livelli duodenali di Sglt-1 siano aumentati nei soggetti con pre-diabete, così come nei pazienti affetti da diabete tipo 2 – sottolinea Teresa Vanessa Fiorentino, co-autrice dello studio, dottoranda all’Università Magna Graecia di Catanzaro – dimostra che tale alterazione è presente ancor prima dell’esordio della patologia diabetica e suggerisce che l’aumentato assorbimento intestinale del glucosio mediato dal trasportatore Sglt-1 potrebbe essere un meccanismo coinvolto nello sviluppo del diabete tipo 2».
Dal momento che l’attività del trasportatore «può essere inibita da alcuni composti fenolici presenti nelle mele – dice Sesti – e che sono attualmente in fase di sviluppo farmaci con una doppia azione inibitoria sui trasportatori Sglt-1 e Sglt-2 (quest’ultimo presente a livello renale), è possibile ipotizzare che la correzione dell’eccessivo assorbimento intestinale del glucosio potrà rappresentare una possibile strategia terapeutica utile non solo per trattare l’iperglicemia post-prandiale, ma anche per prevenire lo sviluppo del diabete nei soggetti a rischio».
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