Arturo Stalteri
5 minuti per la letturaCROTONE – C’è anche un omaggio a Rino Gaetano, l’indimenticato cantautore crotonese del quale fu uno storico collaboratore, nell’ultimo disco di Arturo Stalteri, voce storica di Radio 3 ma anche musicista che da quasi mezzo secolo spazia tra progressive, contemporaneità e pop: molti non sanno che fu proprio lui l’ideatore dell’inconfondibile pattern che caratterizza “Il cielo è sempre più blu”.
Uno dei brani più noti di Gaetano, al quale Stalteri ha reso un tributo riproponendo il pezzo in una versione strumentale nel suo “Spirit of the past”. In uscita il 19 novembre prossimo, il disco del pianista romano è una summa che raccoglie soltanto alcune delle perle di una carriera variegata. Un vero e proprio diario di viaggio, impreziosito dalle collaborazioni di Antonello Venditti, Roberto Cacciapaglia, Grazia Di Michele, Federica Torbidoni, Fabio Liberatori a Carmine Capasso, ma c’è anche un inedito. Stalteri ricorda come è nata l’introduzione della celeberrima song di Gaetano, un tema che si sarebbe tramutato in flusso sonoro continuo nell’immaginario collettivo.
Quando compose il pattern del “Cielo è sempre più blu”, immaginava che avrebbe avuto un successo strepitoso?
«Non lo pensavo, onestamente. Oltre ad essere autore di testi infuocati e ironici, Rino aveva preveggenza musicale. Mi disse “secondo me, qui ci vuole piccola introduzione che caratterizzi il pezzo, prova a muoverti basandoti su questo ritmo e questi accordi”. Seguii una sua indicazione e provai a fare un piccolo giro di note, pensavo di farne altre ma mi fermò subito: “così è perfetta”. Quelle note avrebbero caratterizzato il brano dall’inizio alla fine. Proposi di provare anche altre soluzioni, e lui “già so che funziona”. Non aveva dubbi che potesse essere così incisivo quel tema. Quindi al 90 per cento è merito suo, io sono stato il braccio e lui la mente».
Che ricordo ha di Rino Gaetano e in che consiste, secondo lei, la sua grandezza?
«Un ricordo estremamente positivo. L’ho frequentato durante il periodo della nostra collaborazione, dal “Cielo è sempre più blu” ad “Aida”, poi ci siamo persi di vista. Era una persona solare, molto fatalista, uno che analizzava le cose negative della vita ma con una spinta di forte positività. Per questo quando vidi la miniserie televisiva in cui veniva dipinto come una persona non molto positiva ci rimasi male, e anche gli amici e la sorella non lo hanno riconosciuto. La sua grandezza, poi, sta anche nella sua attualità perché Rino ha raccontato con ironia rimasta intatta nel tempo i malesseri di una società che da allora non è andata molto avanti. E Rino non è mai invecchiato perché nei suoi testi si riconoscono i giovani di oggi. Ragazzi di 16 anni cantano “Berta filava” o “I tuoi occhi sono pieni di sale”. Il suo primo disco è del ’73, ha attraversato indenne quasi mezzo secolo».
Questo suo ultimo lavoro è la summa di un percorso musicale di quasi 50 anni, tra progressive, contemporaneità e incursioni nel pop. C’era l’esigenza di tracciare un bilancio?
«Sì. A un certo punto mi sono accorto che il primo disco, che feci con i Pierrot Lunaire, è del ’74. E ho pensato che forse era il momento di tracciare un bilancio. Il disco è un diario di viaggio che racconta la musica che ho scritto ma anche quella che ho ascoltato, che ha segnato i miei gusti. Non è una compilation di cose fatte, ci sono anche cose che ascolto recentemente, come Max Richter. Inoltre, ho collaborato con vari cantautori, quando ero alla Rca ne ho conosciuti tanti, da Antonello Venditti a Rino Gaetano a Grazia Di Michele, e quindi sentivo il bisogno di un piccolo omaggio a personaggi che hanno segnato la mia vita, e ho avuto la fortuna di averli ospiti nel disco. Ma è soltanto una piccola parte dei pezzi che hanno segnato i miei gusti musicali. Da Chopin ai Rolling Stones, c’è un mare di musica».
Nel corso della sua carriera ha intrecciato molte collaborazioni, e di varia natura, segno di un’apertura verso stili e generi diversi…
«Sì. C’è una curiosità di fondo, innata, ma non è casuale, c’è una storia dietro. Iniziai a suonare il pianoforte a sei anni, avevo due sorelle più grandi di me e loro ascoltavano i Beatles e i Rolling Stones, Caterina Caselli e Patty Pravo. Mia madre suonava il piano, anche se non da professionista. E quindi in casa si ascoltava di tutto, da Bach ai Cream. In più, mio padre era giornalista televisivo, lo vedevo lavorare con un registratore. Da qui ho iniziato ad ascoltare e registare di tutto. Oggi ascolto e suono tutti i generi, forse il jazz è l’unico campo in cui non mi sono cimentato, anche se riconosco il grande valore di questa musica, ma sono rimasto un accademico. A seconda del momento mi sento più portato per la classica, il pop o il minimalismo, e lascio che accada».
Lei è anche un critico musicale, durante le sue conduzioni radiofoniche è stato un raffinatissimo divulgatore, anche di musica sperimentale. Nell’era delle piattaforme digitali che danno accesso a sterminate librerie musicali come è cambiata la radio? E come è cambiato il mestiere del critico musicale?
«Cerco di far sì che non cambino molto. Mentre una volta la radio e la stampa specializzata erano l’unico modo per scoprire nuovi artisti, oggi se si sa navigare si può ascoltare la musica del mondo. Ma bisogna andarla a trovare, e bisogna sapere dove cercarla. Credo che la radio abbia ancora questa valenza importante, cerchiamo di catturare e proporre suoni e atmosfere che fanno sì che la musica vada avanti. Negli ultimi tempi mi occupo soprattutto di musica classica, in questo caso si tratta di scoprire interpreti nuovi di una musica che ha una sua storia, ma rimane l’idea della ricerca musicale».
Lei conosce bene la Calabria, e, in particolare, Crotone, terra natale di Rino…
«Ogni tanto ci vengo, Crotone la conosco bene. Ci sono venuto in piena estate, ricordo tanta gente sul lungomare. Ci sono stato anche nel novembre dello scorso anno, il tempo era nuvoloso e il mare mosso ed era bellissimo. Un’atmosfera magica».
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