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Giancarlo Rafele

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Un progetto contro la solitudine, non solo una biblioteca; “Vrica” raccontata da Giancarlo Rafele presidente della cooperativa “Kyosei”


Giancarlo Rafele, 54 anni, presidente della cooperativa “Kyosei”, che in giapponese suona come “Vivere e lavorare insieme per il bene comune e il benessere reciproco”: 104 fra soci e dipendenti. N.1 della Lega Coopsociali in Calabria, membro del Collettivo di scrittori “Lou Palanca”. Sotto un post di Vito Teti ha scritto: «Ho fatto bene ad ascoltarti».

E della classe, maturità da ragioniere, quanti sono rimasti?

«Più o meno la metà. Che sarebbe una bella quota rispetto ad oggi. Anch’io ho avuto proposte di lavoro al Nord».

E come mai ha detto no?

«Perché mi piace vivere dove sono nato. E soprattutto perché mi diverto, anche se ho da fare direttamente con la sofferenza delle persone. Stare dentro un bel gruppo per me è fondamentale. Poi, certo, la giornata è fatta di confronti non sempre facili con la pubblica amministrazione. E con le banche che, come è noto, non regalano i soldi».

Di che si occupa la “Kyosei”?

«Telemedicina, assistenza domiciliare, centri di aiuto per l’infanzia maltrattata. È quello che abbiamo sempre fatto. Ma mentre eravamo impegnati ad offrire servizi sempre più efficienti, il mondo è cambiato. E quindi abbiamo deciso di uscire dagli uffici, smesso di progettare quello che già sappiamo fare».

Un rischio, visto che voi siete un’impresa a tutti gli effetti, non una associazione di volontariato. Ogni 27 del mese dovete pagare gli stipendi.

«Uscire dagli uffici significa avviare una politica di ascolto non calata dall’alto. Significa sentirsi dire che un centro diurno è importante, ma magari i cittadini di certi quartieri chiedono migliori servizi e strade sistemate. Fino a quando non vivi con loro, queste cose non le capisci».

E qui arriviamo al quartiere di Santa Maria di Catanzaro.

«Dove è nata la cooperativa, nel posto dove ho scelto di vivere. Per certi versi, si potrebbe paragonare alla Arghillà di Reggio. Ha la palma incontrastata di quartiere più difficile della città. Ricordo come Santa Maria era prima e come è diventata. Un posto dove non entra nemmeno la polizia. Nella zona Pistoia, alla periferia della periferia, sono morti in un incendio in una casa popolare i tre fratelli Corasaniti, era l’ottobre del 2022. Una tragedia che la mia città non può dimenticare, perché nasce dall’abbandono».

Qui avete avviato un percorso di comunità. Che significa?

«Rendere i cittadini consapevoli delle loro potenzialità e opportunità. Spesso chiedono qualcosa di cui hanno diritto, e magari ringraziano pure il politico o il mafioso. Ci sta aiutando don Salvatore Bilotta, un prete trentacinquenne. In questi posti, del parroco si fidano, è come il medico. L’oratorio è una sana alternativa alla piazza: lui è riuscito ad attirare 30-40 ragazzi».

E gli adulti?

«Ok al percorso di comunità: l’importante è che non ci siano politici, hanno detto».

Che poi la politica vera in Calabria, ormai la fanno certi preti, è d’accordo?

«Quella alta, che è fatta di impegno quotidiano e partecipazione: è vero».

Qual è il progetto?

«Insieme alla Fondazione Con il Sud, l’idea era quella di costruire un presidio di lettura a Santa Maria, la “Biblioteca che vorrei”. Solo che, incontro dopo incontro, si sta trasformando in qualcosa di diverso, e quella parola non basta più. Con il campo di bocce, gli orti didattici. Stanno decidendo loro gli arredi e i colori».

Ma prima cosa c’era?

«La sede dismessa di una circoscrizione, giardinetti spenti e vandalizzati. Rigeneriamo un bene e lo restituiamo alla gente. Ma agli abitanti del quartiere diciamo: questo posto lo hai pensato tu, quindi ti tocca partecipare e difenderlo. È un capovolgimento di mentalità. No a progetti calati dall’alto e non a un Terzo Settore che spesso confina con l’assistenzialismo».

E l’idea si chiama Vrica.

«E cioè la pianta dell’erica, sempre verde e resistente. Anche se “vricoti”, come sono chiamati gli abitanti di Santa Maria, non suona certo come un complimento».

E chi ci lavora dentro?

«Educatori, psicologi, assistenti sociali: attivatori di comunità».

Un progetto contro la solitudine.

«Che nasce dal fallimento delle politiche sociali. E dalla nostra trasformazione: è presuntuoso imporre i nostri modelli a tavolino. Il percorso continua. Sarà la prima biblioteca di quartiere a Catanzaro».

Ma non si chiamerà Biblioteca, e noi del Quotidiano ci auto-invitiamo all’inaugurazione.

«Anche i giornalisti devono uscire dai giornali».

Lei è ottimista? Vede ragazzi di valore in giro?

«Non voglio credere al declino, sul territorio crescono belle esperienze. Penso per esempio a quelli che organizzano il Festival di Cleto, o quello del Lamento. Mettetelo in agenda per quest’estate».

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