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Giovanni Mazzei

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Alla ricerca della poetica costabiliana, Giovanni Mazzei si racconta: “speriamo che la sua poesia arrivi il più lontano possibile”


“Siamo le giacche appese nelle baracche dei pollai d’Europa”. Per raccontare Franco Costabile, Giovanni Mazzei cita questo suo verso, di bruciante attualità. Ed è capitato durante il Festival “Trame” a Lamezia che si sia messo a parlare di poesia dal palco.

Qualcosa si muove. Nel Centenario della nascita, esce un libro. E a fine agosto?

“Tante iniziative, cito solo ‘La reverie degli Ulivi’, un sogno ad occhi aperti alla ricerca della poetica costabiliana nel centro storico di Sambiase”.

Lei è direttore artistico della manifestazione. Più facile organizzare la sagra della birra.

“Da anni lavoro e studio per il recupero degli scritti, per la rivalutazione di un personaggio dimenticato, amico di Ungaretti, Caproni, Bassani, Pasolini”.

Come è arrivato ad adottare la memoria di Franco Costabile?

“Avevo fondato un piccolo movimento al mio paese, ‘Dorian, la cultura che rende giovani’. Mi viene in mente che l’unico esponente stabile del gruppo ero io. Se è vero che il poeta ti mette le sue parole in bocca, Costabile ha fatto di più. Ha raccontato le migrazioni delle genti, le sopraffazioni del potere. Quella degli uomini sulle donne: ‘Il padrone l’ha voluta e se l’è portata nella siepe’”.

Che storia ha avuto il poeta?

“Non facile, fin dalla nascita. Il padre scappò prima, era laureato in Lettere francesi, andò in Tunisia dove la moglie non volle seguirlo, e non tornò più. Costabile studiò a Nicastro e poi alla Sapienza, frequentando i più interessanti cenacoli culturali, ci sono vari carteggi, anche al Gabinetto Viesseux, che lo testimoniano. Si sposò, creò una famiglia, si separò. Insegnò alle Scuole Superiori, collaborando con varie riviste letterarie”.

Si suicidò nel 1965. Quattro anni prima si era ammazzato Lorenzo Calogero. I due maggiori poeti calabresi accomunati dallo stesso destino.

“Un comune sentimento davanti alla realtà che li circondava. Un modo simile di percepire le difficoltà della vita”.

Esiste ancora a Sambiase, che oggi è una frazione di Lamezia Terme, la casa di Franco Costabile?

“Sì, non è abitata da parenti. C’è una targa, dal 1967. I suoi versi restano sulle mattonelle del centro storico. Le due figlie vivono a Roma e non vogliono avere a che fare con la memoria del padre”.

E voi oggi come volete ricordarlo?

“Nulla di pesante, speriamo che la sua poesia arrivi il più lontano possibile. I suoi versi sono leggeri, ma non superficiali. Pensiamo a brevi talkshow, lavoreremo in video e sui social. Costabile è comprensibile a tutti”.

I suoi versi preferiti?

“Tu non puoi/ intendere le notti del marciapiede/la mia vita alla luce delle insegne luminose/erro, con passo da soldato sconfitto”

È stata dura?

“Non ho avuto fondi, ho messo mie risorse personali. Ora è nato un Comitato per le celebrazioni. Ed è fiorita la collaborazione con l’Editore Rubbettino, abbiamo messo insieme un interesse. Nei fatti, Costabile pubblicò due sole raccolte: ‘Via degli Ulivi’ del 1950 e ‘La Rosa nel bicchiere’, nel 1961. Io ho curato la sezione delle poesie disperse, quelle che Costabile pubblicò in riviste letterarie come Botteghe Oscure e Tempo Presente”.

Un lavoro da topo di biblioteca.

“Gli studi su Costabile non hanno mai preso in rassegna questo aspetto. Sono tante poesie, qualcuna inedita. Ho cercato di fare uno studio analitico, interrogando archivi in tutta Italia. Dove di certo anche chi lo conosce bene troverà cose che non ha mai letto. Un percorso iniziato da tanto tempo che ha avuto come traguardo finale questo libro, ‘La Rosa nel Bicchiere’, con la prefazione di Aldo Nove.

Che ormai vive a Palmi, ed è quindi diventato calabrese di adozione.

“Infatti. A proposito di Calabria, vorrei aggiungere una cosa”.

Siamo qui per questo.

“Ridurre Franco Costabile a una definizione tipo ‘il letterato che ha parlato di Calabria’ non basta, non è solo quello. Lui usa la nostra terra come riferimento, ma basta cambiare il colore della sua poesia per renderla internazionale. È un canto dei nuovi emigranti: i nostri che continuano a partire, quelli di Rosarno, della Pontina… La sua resta una poesia, una forma di comunicazione efficace, dinamica, contemporanea”.

È difficile fare cultura in Calabria?

“Anche qui siamo più o meno sempre le stesse persone, ci guardiamo negli occhi, capita che ci siano invidie e malumori. Ma non ci arrendiamo di certo. Sarà un’estate bellissima”.

E se non basterà fare cultura, coltivare la memoria dei poeti per restare qui?

“Me ne andrò, ma portandomi sempre dietro una rosa nel bicchiere”.

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