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“RADICAMENTI” è il giorno di Giorgio Tirabassi. L’attore è attesissimo questa sera alle 22 con lo spettacolo teatrale “Romantica”. E se alle 18 a Palazzo Campagna, saranno presentate le opere realizzate in quei giorni e si terrà l’incontro con Giulio Rincione dal titolo “Da Paperino a Dylan Dog”, Tirabassi sarà nella versione per così dire “inedita” di musicista e interprete. L’ artista presenta al pubblico il suo primo album, “Romantica”, descritto come un viaggio nel tempo alla riscoperta di una Roma antica e senza tempo. Non solo musica, ma anche le letture di Trilussa e Gigi Zanazzo, poeta romano dell’800, accompagneranno l’universo sonoro elegante e ricercato di Tirabassi, con ritmi che spaziano dal jazz al manouche, passando per il tango, la bossa nova e la milonga. Sul palco, si uniscono a Giorgio Tirabassi (chitarra e voce): Luca Chiaraluce (chitarra), Giovanni Lo Cascio (batteria), Daniele Ercoli (contrabbasso), Massimo Fedeli (fisarmonica e piano).

Tirabassi attore e ora anche cantante con “Romantica”…

«Intanto terrei tranquillo il pubblico: non c’è velleità… È una scelta legata al mio lavoro di interpretare e di romano. Una cosa legata al popolo, alla tradizione popolare. Ascolto questa musica da quando ero ragazzo. Ho fatto una selezione di pezzi includendo anche canzoni cantate poco, niente o mai dai miei colleghi. Ci sono canzoni che hanno qualche secolo, alcune del Trecento. Molte sono serenate, sonetti ma anche stornelli a dispetto. Ho visto che si legavano molto bene con alcuni generi musicali».

Un atto d’amore per Roma?

«Penso proprio di sì, soprattutto verso i romani che in larga parte conoscono cose più note. C’è il rischio che la cultura più profonda si perda nel tempo ma diciamo che ho lavorato principalmente per me, comprando gli spartiti anche ai mercatini delle mille lire, ad esempio».

Archeologo dello spartito?

«È un lavoro che ha anche un valore storico ma non troppo filologioco. Non è ‘na puntata de Piero Angela, per intenderci!».

Ma Tirabassi cosa ascolta di altro?

«Sono onnivoro. Da ragazzo ascoltavo Claudio Villa ma anche Santana, Deep Purple. Ho avuto un grande amore per la Bossa Nova, per il Blues. Poi l’approdo al Jazz, definitivamente».

Cinema, teatro televisione: cosa preferisce?

«Guardi, dico che nel lavoro dell’attore tutto è importante. È come chiedere a un idraulico se preferisce riparare lo sciacquone o il lavandino. Tutto è legato al nostro lavoro di interprete. Da ragazzo ho fatto teatro di tutti i tipi, perché era giusto imparare tutto. Anche per campare con questo lavoro bisogna saper fare tutto».

Lei ha lavorato con alcuni registi che hanno fatto la Storia del Cinema e del Teatro in Italia. Tra questi Ettore Scola nel film “La cena”. Cosa ricorda di lui?

«Lavorare con Scola per me è stata un’esperienza magnifica. Era una persona adorabile anche umanamente come poche ne ho conosciute. Un uomo molto affettuoso, legato al Cinema, alla famiglia, ai giovani agli esordienti a cui voleva la pena dare attenzione. Esperienza magnifica anche anche dal punto di vista artistico. Il mio ruolo ne “La cena” era piccolo. Ero spaventatissimo, nel cast c’erano Gassman, Sandrelli, Ardant. Lui mi chiese di improvvisare».

E Proietti con la cui compagnia ha recitato per 9 anni…?

«Proietti è un fratello maggiore. “A me gli occhi, please” mi ha folgarato da ragazzino. Quando ho avuto modo di lavorare con lui è stato come chiedere a un ragazzino di giocare con Totti».

“Romantica” ma non solo. Lei si mette spesso in gioco e vince. Penso al suo debutto da regista con il corto “Non dire gatto” con cui ha vinto il David di Donatello  come miglior cortometraggio facendo anche incetta di premi e riconoscimenti. Paga mettersi in gioco?

«C’è anche una parte di rischio, le cose che ho fatto per fortuna sono state ripagate. Nel caso di “Non dire gatto” volevo girare un corto dopo essere stato per tanti anni davanti la macchina. La scelta è stata legata a una leggenda metropolitana che mi piaceva molto».

Tirabassi in tre aggettivi?

«So come gli “artri omini”».

E se non avesse fatto l’attore?

«La mia strada era quella della ginnastica. Frequentavo l’Isef. Mi sono occupato di ginnastica artistica fino a 19 anni. A 20 ho iniziato a fare l’attore e non c’è stato dubbio. Però, magari, facendo l’insegnante di ginnastica vista anche la mia passione per la chitarra avrei avuto un gruppo musicale, chissà! Ho sempre fatto sport, ma il teatro mi è piaciuto fin dai tempi della scuola. Poi ho visto “A me gli occhi, please” di Proietti e “Mistero Buffo” di Dario Fo. Avrò avuto 15, 16 anni ero molto recettivo».

Che rapporto ha con il cibo? Sa cucinare?

«Un rapporto di sopravvivenza: non cucino ma “cuocio” in famiglia. Voglio dire che è diverso dalla cucina delle vellutate. Dopo aver fatto “Benvenuti a tavola – Nord vs Sud” ho capito che è proprio un’altra cosa».

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