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Mons. Bertolone, con un gruppo di giovani immigrati durante la consegna dei pasti serali

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CATANZARO – Dio, il mistero della morte e del dolore, le misure adottate dalla Chiesa per limitare e contrastare il Coronavirus, l’attenzione ai più poveri e l’incidenza sull’economia globale. Sono queste alcune delle questioni al centro della conversazione con mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza Episcopale Calabra, che ringraziamo per aver accettato il nostro invito a rispondere alle domande.

Da un mondo in cui avanza il contagio da Coronavirus, sale forte una domanda: dov’è Dio? Perché il male, il dolore, la morte?

Dio rischia di essere la vittima sacrificale sulla quale gli uomini, con presunzione adamitica, cercano di addossare ogni responsabilità, per poi ricominciare come prima, come se nulla fosse. Come alibi, ne viene perciò denunciata l’assenza. In realtà, anche in queste settimane difficili e tragiche, Dio c’è. E’ nel cuore, nelle mani, nelle parole e nei gesti quotidiani di ogni uomo. Come non vederlo all’opera attraverso coloro che si sacrificano nelle corsie degli ospedali o garantiscono la gestione dei rifiuti, la sussistenza alimentare, il controllo dell’ordine pubblico, l’assistenza a domicilio in caso di necessità, la responsabilità delle decisioni politiche ed economiche? Solo che, per percepire la Sua presenza invisibile e silenziosa, dobbiamo riacquisire gli occhi della fede, della speranza, della prossimità. Certo, nei momenti di dolore intenso, le domande sono più numerose delle risposte, ma non bisogna dubitare di Dio. Al contrario, occorre lottare con Lui contro il male e contro il Maligno che semina la zizzania nel campo della fiducia e della speranza. Nel 2010 ho dato alle stampe il volume “Perché, perché Signore? Non sei colpa tu o Signore…”, in esso approfondivo teologicamente il significato del dolore e del male nella prospettiva cristiana. Rileggendo quel testo, con la sapienza biblica dico che non c’è una risposta razionale definitiva al tema del dolore assoluto e dell’amore. E citando Paul Claudel scrivevo «che Gesù non è venuto nel mondo a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla della sua presenza», facendosi sofferenza e caricandosi del peccato dell’uomo per amore dell’uomo che può così invocarlo: “O Dio, nell’otre tuo hai raccolto le mie lacrime”. Questo è il tempo della prova e dell’amore, perché è l’amore compassionevole che si fa partecipe del dolore altrui la vera risposta, antidoto efficace contro il male, la sofferenza e la morte, in questo mondo sempre più smarrito e lacerato.

Lo slogan “Io resto a casa” rimanda a un’etica della responsabilità, cioè della cura di noi stessi e degli altri. Proprio sulla base di questa etica della responsabilità, voi vescovi avete dato seguito alle disposizioni governative di sospendere le Messe. Questa scelta significa promuovere una cultura della vita. Si può affermare che la tutela della vita umana precede il culto religioso?

Chi è responsabile lo è perché ha a cuore la salute altrui, come vuole la Costituzione, ma soprattutto come vuole il comandamento dell’amore (che, per noi credenti, è “salvezza). Mi piace ricordare le parole dello scrittore Antoine de Saint-Exupéry: “Essere uomo è essere responsabile”. La chiamata alla vita è soprattutto una chiamata alla responsabilità nei confronti degli altri fratelli e sorelle e della Casa comune: se la libertà è il territorio nel quale ci si muove, la responsabilità è il tracciato delle strade che si possono percorrere. Per questo i riti religiosi sono stati sospesi, in ossequio ai provvedimenti governativi che mirano ad evitare assembramenti allo scopo di frenare l’avanzata del contagio. Per dare efficacia a queste disposizioni, la Conferenza Episcopale Italiana ha fornito i suoi orientamenti, sulla scorta dei quali noi vescovi, abbiamo decretato la sospensione delle messe con concorso di popolo e con relativa dispensa dal precetto domenicale e festivo. Si tratta di una decisione che addolora tutto il Popolo di Dio, ma necessaria per motivi sanitari e per dovere civico, perché la vita va tutelata e protetta dal suo sorgere fino al suo naturale tramonto, pure dalla Covid 19. Ma è pure chiaro che per un cattolico rinunciare alla messa è un vero e proprio martirio “a secco”, perché nutrirsi del pane eucaristico è essenziale almeno e anche più di quello di grano. È per questo che si chiede ai sacerdoti di utilizzare al meglio le potenzialità del digitale, per arricchire la vita interiore, spirituale e culturale dei fedeli, rendere più belli i legami relazionali della comunità parrocchiale.

Vescovi e sacerdoti continuano a celebrare quotidianamente. E Lei stesso, nell’omelia di due domeniche addietro, presso la Basilica dell’Immacolata, ha detto che una Messa, anche senza la presenza fisica dei fedeli, non è mai privata. Ci può spiegare questo passaggio?

Ad essere sospese sono le celebrazioni religiose con la presenza dei fedeli, ma noi Vescovi e sacerdoti continuiamo a celebrare nelle nostre chiese, nelle nostre cappelle o, soprattutto, i preti più anziani, nelle nostre case. Ogni giorno eleviamo il calice della salvezza e preghiamo per chi sta vivendo condizioni di fragilità a causa del coronavirus, nonché per tutti gli operatori sanitari, per i medici e i paramedici, che stanno offrendo la propria vita come dono per gli altri. Anche se celebriamo le Messe nel silenzio, da soli, non possiamo che essere in comunione, in quel momento, con tutto il Popolo di Dio, con l’intera Chiesa, quella visibile e quella invisibile. Per questo le Messe non sono mai private: ogni eucaristia è pane spezzato per una moltitudine. Anche in una Messa celebrata senza popolo, insomma, è presente tutto il corpo mistico, che è la Chiesa. Utilizziamo, allora, il tempo del silenzio e dello stare assieme in casa, per permettere a Dio di parlare ai nostri cuori, per renderci conto che non possiamo avere una fiducia smisurata nelle sole forze umane, nella tecnoscienza; che siamo fragili, vulnerabili, creature finite e non onnipotenti; per fare pulizia nell’anima, ritrovare l’interiorità; per riflettere sulla genuinità della nostra fede, per capire se sia centrata sul Gesù del Vangelo, sul senso della vita, sul destino dell’uomo: per aprire “ un pertugio attraverso il quale Dio e la creazione si guardano”, come diceva Simone Weil. Così si riscopre il Dio che è amore misericordioso.

Un Decreto della Congregazione per il Culto divino e i Sacramenti specifica che la data della Pasqua non potrà essere spostata, ma i riti dovranno essere celebrati anche senza la presenza fisica dei fedeli. Ciò incide sulle manifestazioni della pietà popolare, ma bisogna attendere le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana. Che Pasqua sarà questa del 2020?

Il decreto in questione ha precisato come la data della Pasqua non possa essere spostata, in quanto è il cuore dell’anno liturgico. Ha offerto, inoltre, alle Conferenze episcopali regionali ed ai Vescovi diocesani alcune indicazioni, aggiornate con un successivo decreto della stessa Congregazione e seguite dagli Orientamenti per la Settimana Santa, forniti dalla Cei. Abbiamo, dunque, un chiaro quadro di riferimento per liturgie e riti che saranno comunque celebrati senza concorso di popolo. Posso dire che, quarantena o meno, questa Pasqua non sarà diversa delle altre nella fede. Celebreremo, come da circa duemila anni, la vittoria di Cristo sulla morte ed esprimeremo la nostra speranza di salvezza.

La diocesi di Catanzaro si sta facendo carico di offrire sostegno materiale a diverse persone e famiglie che vivono situazioni di difficoltà economiche. La fede e la speranza, d’altronde, non sono nulla senza la carità. Quanto è importante dare un aiuto materiale ai fratelli che si trovano in condizioni di disagio?

È nel dna della Chiesa essere prossima a chi è in difficoltà ed opera in silenzio e nel nascondimento.L’arcidiocesi, con l’impiego di 600 operatori socio-sanitari, offre in silenzio e nel nascondimento accoglienza h/24 nelle proprie strutture a circa 800 persone in difficoltà, oltre quelle raggiunte quotidianamente nei servizi non residenziali. In caso di aggravamento dell’emergenza sanitaria, per come già concordato con Caritas italiana, si é pronti a mettere a disposizione due strutture, per accogliere medici ed infermieri. Ma approfitto di questo spazio per rilanciare un invito formulato già nei giorni scorsi: segnalateci situazioni di marginalizzazione sociale, in quanto la porta della curia diocesana è sempre aperta agli indigenti, tra vecchie e nuove povertà. Non si fa mai abbastanza. Ma è essenziale il contributo delle istituzioni civili, che non devono dimenticare quanti sono erroneamente considerati ultimi o invisibili nella nostra società, ma che, nella logica del Vangelo, saranno i primi ad entrare nel Regno dei Cieli.

Il direttore del giornale MIT Technology Review ha scritto che niente sarà più come prima. Il Coronavirus sta pesantemente incidendo sull’economia. Che cosa pensa a riguardo?

Questa pandemia probabilmente cambierà il corso della storia. In pochi giorni sono mutati i comportamenti sociali (polveri sottili scomparse, spreco alimentare dimezzato, inquinamento acustico scomparso) e sono crollate certezze economiche e monetarie che dominavano da trent’anni. Se è vero che nulla sarà più come prima, allora è giunto il momento di mettere in discussione alcuni pilastri dell’economia capitalistica ritenuti intoccabili: competizione, individualismo, spreco, indifferenza, accumulazione illimitata, globalizzazione, sono sotto osservazione. Adesso si può e si deve ripartire “dall’essenziale invisibile agli occhi”. Si può e si deve trasformare questa crisi in un’opportunità. Dalla sofferenza nasca il seme di una economia e di una società più giusta, più equa e meno materialista. L’uomo è, prima di ogni cosa, essere spirituale: accanto ad un vaccino medico o a farmaci che guariscono, i governanti dovranno rivelarsi in grado di fornire alla popolazione mondiale un “vaccino” sociale ed economico per immunizzare dai danni che si possono creare nel breve e lungo periodo. Non si scordi la lezione di papa Francesco: le regole dell’economia servono a ben poco, senza un’etica che ne sia a fondamento. Il cambiamento è inevitabile ed è già in essere. Sta ora alla responsabilità degli uomini orientarlo al bene comune, al bene più grande. È arrivato il tempo di armonizzare umiltà, pazienza, solidarietà, serietà negli studi, spirito di sacrificio, competizione, innovazione.

C’è chi parla di una situazione tragica, dal punto di vista economico e sociale, pari a quella del secondo dopoguerra. Si sente di dare ragione ad una simile analisi? Come sarà il domani?

Secondo molti economisti la situazione è grave. L’Oxford Economics prevede per il secondo trimestre del 2020, una caduta del 12% del Pil e Goldman Sachs addirittura del 24%, ovvero tre volte di quanto avvenuto nella crisi del 2008. Ad oggi le Borse mondiali hanno “bruciato” il 30% della ricchezza: ciò era accaduto solo nella grande crisi del 1929. Sempre gli economisti e gli esperti prefigurano scenari post crisi con il 25% di disoccupazione. La mia preoccupazione è rivolta soprattutto alle fasce più deboli: quelle che pagano sempre, prima di altre, i momenti di crisi dei sistemi economici. Alla luce del Vangelo, l’unica certezza è che il Signore non abbandona i suoi figli. E non può esserci consolazione più grande. Ma la questione, da discutere soprattutto con imprenditori della finanza e dell’economia, deve concentrarsi sul sistema di sviluppo che vogliamo avere: pensiamo davvero di poter andare avanti con modelli, come ricorda Papa Francesco, figli di un capitalismo individualista, che ignora i valori della solidarietà e del rispetto per l’ambiente? Al contrario è il caso di iniziare a riflettere su come improntare le nostre relazioni economiche e sociali ad uno stile sobrio, che rinsaldi il rapporto dell’uomo con il Creato, secondo il principio dell’ecologia integrale e dell’uomo con l’uomo.

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