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A POCHI giorni da San Valentino, ed esattamente giovedì, arriva in tutte nelle sale cinematografiche italiane, con Good Films, il film del regista calabrese, Carlo Carlei, “Romeo & Juliet”, ultima rivisitazione cinematografica del capolavoro di Shakespeare sceneggiato dal premio Oscar Julian Fellowes. Nel cast figurano: Hailee Steinfeld (Giulietta), Douglas Booth (Romeo), Paul Giamatti e l’italiana Laura Morante. Un’opera, quella di Shakespeare, che ha più volte tentato il mondo di celluloide. Ne esistono oltre quaranta versioni cinematografiche. Oggi tocca al lametino Carlei.

Carlei, perché Romeo & Juliet?

«Ho sempre scelto materiale ad alto contenuto emotivo come fonte di ispirazione per il mio lavoro. Ho cominciato infatti ad amare il cinema vedendo decine di volte i film-evento di grandi autori come Stanley Kubrick, John Boorman, Joseph Losey, John Schlesinger, Ken Russell. L’amore per quei capolavori (che anche se prodotti all’interno di una logica industriale, contribuirono non poco a rinnovare il linguaggio cinematografico) mi ha sempre spinto a cercare storie che non si limitassero al puro intrattenimento ma esprimessero contenuti profondi in grado colpire al cuore gli spettatori. La scelta di Romeo & Juliet quindi non è casuale. È anzi una scelta morale. A volte, come in molti altri aspetti dell’esistenza, la vera rivoluzione è avere il coraggio di non cedere alle mode e di andare dentro alle cose, in profondità per comprenderne appieno il significato più intimo».

Cosa l’ha colpita di più della celebre tragedia?

«Quest’opera di Shakespeare non è solo la storia d’amore più bella di tutti i tempi ma è anche una metafora attualissima sull’opposizione eterna tra l’età della giovinezza con il suo idealismo e la sua innocenza e l’età adulta con tutti i suoi limiti e pregiudizi. I due ragazzi si ribellano al destino già delineato dai loro rispettivi genitori e seguono invece i loro sentimenti, senza preoccuparsi delle conseguenze che la loro scelta comporterà. La purezza e testardaggine di Romeo e Giulietta non sono affatto anacronistiche e io credo che i giovani d’oggi troveranno molto attuale la dignità con cui essi difendono fino all’ultimo istante il loro diritto ad amarsi. Ci sono molte analogie fra la faida dei Montecchi e Capuleti e certe forme di intolleranza radicale che ancora oggi non permettono l’unione fra due persone che appartengono a razze, religioni e ceppi sociali diversi».

Cosa ha messo maggiormente in risalto?

«Nel raccontare le brevi esistenze di due adolescenti innamorati ho privilegiato uno stile con un ritmo serrato e molta suspense. Infatti la sfida per me è stata quella di farne una versione totalmente priva di quella rigidità e pesantezza che il pubblico giovane spesso associa ai “polpettoni” in costume. Inoltre, per far si che le emozioni arrivassero in modo diretto e senza filtri al pubblico, ho spinto il mio fantastico cast verso una recitazione quanto più naturale e realistica possibile. In questo senso l’idea di spostare l’ambientazione nel Rinascimento mi ha permesso non solo di arricchire l’iconografia del film, ricreando la luce e i colori degli affreschi creati durante quello straordinario periodo, ma anche di poterlo contestualizzare con esattezza da un punto di vista storico, con indubbi vantaggi per la verosimiglianza delle scenografie e dei costumi. Essere meticolosi e maniacali filologicamente è un default quando si affronta un’impresa del genere, ma poi bisogna anche capire che gli attori non sono manichini e che i loro personaggi non devono essere prigionieri di un’epoca. Al contrario devono muoversi con estrema naturalezza e, nel dar vita a una storia che ha come protagonisti degli adolescenti, è stato importante metterne in risalto caratteristiche come spigliatezza e spontaneità».

Alle critiche come risponde?

«Credo che ci sia stata malafede e anche un po’ di ignoranza da parte di qualcuno nel giudicare l’adattamento di Julian Fellowes troppo “sintetico”, perché qualsiasi versione precedente si è presa ancora più licenze di noi. Se infatti si filmasse integralmente la tragedia di Shakespeare verrebbe fuori un film di 5 ore. Il nostro lavoro è addirittura più fedele alla fonte originale, perché comprende la scena del duello fra Paride e Romeo, mai inclusa nelle altre versioni. La grande trovata di Julian è stata di andare al cuore dei dialoghi e di restituirli in una forma che pur mantenendo una sua classicità li rendesse più comprensibili e quindi apprezzabili. Nella versione italiana sono andato oltre: ho utilizzato un linguaggio verosimile nel Rinascimento ma l’ho reso ancora più accessibile semanticamente a un pubblico giovane. Ho anche cercato di evitare certi siparietti comici di qualche versione precedente, come la balia ubriacona o il Mercuzio drag queen che, con tutto il rispetto, mi sembravano un po’ forzate. Ho voluto, invece, dare a tutti i miei personaggi grande dignità morale e profonda umanità per farli partecipare emozionalmente con sentimenti veri e autentici al dramma di Romeo e Giulietta. Le vite di Benvolio, Fra’ Lorenzo e della Balia non saranno più le stesse quando la vicenda si concluderà. Adattamento e doppiaggio italiano sono stati curati dal sottoscritto ricominciando da zero. Con Roberto Chevalier, direttore del doppiaggio, abbiamo praticamente messo insieme un nuovo cast, selezionando e dirigendo dopo meticolosi provini gli attori giusti. Non credo ci sia una voce adolescente più amata di quella di Emanuela Ionica, la bravissima doppiatrice di Violetta, che anche in Italiano ha dato passione e umanità al personaggio di Giulietta».

E la scelta delle location?

«Non amo particolarmente girare in teatro di posa, mi sento come prigioniero, per cui mi è venuto naturale riportare questa storia nelle bellissime piazze e strade di Verona e Mantova. A mio parere, il modo migliore per ridar vita a questi personaggi era di restituirli ai loro luoghi originali. Come evocati dai palazzi sontuosi del Rinascimento e dalle opere d’arte di Maestri come Raffaello e Botticelli, Romeo e Giulietta ritornano, mantenendo intatta la loro promessa di bellezza».

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