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BISOGNA dare merito ad alcuni intellettuali e cattedratici calabresi se nel corso di questi ultimissimi tempi vengono rievocate per poi essere confutate singolari tesi, che si pensavano in verità scomparse o in declino, sull’influenza genetica nelle differenze economiche, sociali e culturali tra sud e nord del nostro paese e dell’intera Europa.

Due di questi studiosi sono dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, Vittorio Daniele e Paolo Malanima, che su basi prettamente ed esclusivamente scientifiche si stanno occupando di controbattere ai nuovi lombrosiani.

«È agli elementi africani ed orientali (meno i Greci), che l’Italia deve, fondamentalmente, la maggior frequenza di omicidi in Calabria, Sicilia e Sardegna, mentre la minima è dove predominarono stirpi nordiche (Lombardia)». Così scriveva Cesare Lombroso nella sua opera principale, L’uomo delinquente, nel 1876. «L’Italia è formata da due stirpi ben dissimili tra loro, anzi di caratteri fisici e psicologici del tutto diversi; una di queste stirpi popola il nord e il centro, l’altra il sud e le isole». Così scriveva, invece, il siciliano Alfredo Niceforo nel 1898.

«Le tesi razziste di Lombroso e Niceforo – spiega il prof. Daniele – ebbero grande influenza e popolarità negli anni in cui vennero pubblicate. In quegli anni, come osservava Antonio Gramsci, tra le masse operaie del Nord era diffusa l’idea secondo la quale il Mezzogiorno era la palla di piombo che impediva i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia. Molti erano convinti che i meridionali fossero «biologicamente degli esseri inferiori dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale». Oltre che da popolarità, le tesi sull’inferiorità antropologica dei meridionali furono accompagnate anche da sdegno. Quanto quelle tesi fossero assurde, scientificamente prive di fondamento, nonché culturalmente e politicamente pericolose, lo dimostrò assai efficacemente Napoleone Colajanni, in un pamphlet intitolato assai significativamente “Per la razza maledetta.” 

Ma ora appaiono all’improvviso questi nuovi lombrosiani. Chi sono?

«Dopo oltre cent’anni, le tesi di Lombroso, Niceforo e degli altri lombrosiani, che tentarono di spiegare le differenze economiche e sociali tra Nord e Sud attraverso la razza, sono riproposte – dice Daniele – seppur con altri termini, nel dibattito scientifico. La rivista Intelligence, un’importante rivista internazionale di psicologia, ha pubblicato qualche anno fa un articolo di Richard Lynn, professore emerito all’Università dell’Ulster (Regno Unito), che in maniera eloquente si intitola: “In Italia, le differenze nord-sud nel quoziente intellettivo spiegano le differenze nei redditi, nell’istruzione, nella mortalità infantile, nella statura e nell’alfabetizzazione”’. L’articolo ha avviato un dibattito, con articoli di critica e altri di supporto alla tesi di Lynn. Un recentissimo lavoro, di Davide Piffer e di Richard Lynn, pubblicato sulla stessa rivista, sostiene che tra gli italiani del Nord e del Sud esistono differenze nel quoziente d’intelligenza (QI) di circa 9 punti. Secondo questi studiosi, le differenze nell’intelligenza sarebbero, in larga parte, genetiche. Dunque, per ragioni innate, i meridionali sarebbero, mediamente, meno intelligenti dei settentrionali».

Qual è, in sintesi, la tesi del prof. Lynn?

«Secondo Lynn, che basa la propria analisi sui risultati dei test scolastici, gli italiani del Nord avrebbero un quoziente intellettivo medio più elevato di quelli del Sud, e tale differenza sarebbe alla base di tutta una serie di disuguaglianze regionali, innanzitutto di quella nei redditi. I divari di sviluppo, in Italia come nel mondo, dipenderebbero da differenze nelle abilità cognitive. Popolazioni mediamente più intelligenti hanno condizioni sociali, economiche e politiche migliori di quelle meno intelligenti. Poiché le condizioni economiche e sociali dipendono dall’intelligenza che, a sua volta, è in parte geneticamente determinata, le disuguaglianze tra gli individui, tra le regioni e tra le nazioni non potranno mai essere eliminate». 

E quali sarebbero le ragioni del più basso quoziente intellettivo dei meridionali?

«Nel caso italiano, secondo Lynn, i meridionali avrebbero un minore quoziente intellettivo a causa della mescolanza genetica, avvenuta nel corso della storia, tra le popolazioni meridionali e quelle provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Insomma, una tesi sostanzialmente non molto diversa da quella di Lombroso e dei suoi epigoni. Tra gli articoli di replica a Richard Lynn, vi è quello che ho scritto con Paolo Malanima, dal titolo: Are people in the South less intelligent than in the North? IQ and the North-South disparity in Italy, (Journal of Socio‐Economics, 40, 2011)».

Mi chiedo: come è possibile ritornare ancora, dopo un secolo e mezzo, a tesi di questo tipo?

«Il professor Lynn – risponde Daniele – sostiene che i divari internazionali di sviluppo economico sono spiegate da differenze nell’intelligenza media degli individui. Secondo la tesi di Lynn, che non è il solo a sostenerla, il quoziente d’intelligenza delle popolazioni è in parte ereditario e differisce tra le “razze umane”. Nella sua graduatoria, gli africani avrebbero, mediamente, il quoziente d’intelligenza più basso, gli asiatici (cinesi, giapponesi e coreani) quello più alto, mentre gli europei avrebbero un quoziente intermedio. Tale tesi si basa sui risultati dei test QI che, in effetti, differiscono tra le popolazioni, come mostrato da Lynn. Resta da dimostrare, tuttavia, che la spiegazione delle differenze sia di natura genetica e non, invece, dovuta all’ambiente, cioè a fattori sociali e culturali».

Dunque, i meridionali sarebbero meno intelligenti a causa delle passate influenze di popolazioni mediterranee… è così? 

«È proprio così! È proprio all’influenza fenicia e araba che si deve, sempre secondo Lynn, il minor quoziente intellettivo dei meridionali. È da osservare che il lavoro di Lynn si basa su una metodologia statistica semplice, cioè su correlazioni che mostrano un legame tra variabili, ma nulla consentono di dire circa l’esistenza di un nesso di causalità tra le stesse. Le argomentazioni dell’articolo di Lynn relativo all’Italia si fondano poi su dati, come i test scolastici, che non valutano l’intelligenza, bensì l’apprendimento, oltre che su ipotesi altamente discutibili quale, appunto, quella delle differenze “razziali” nell’intelligenza. È certamente vero che in Italia vi siano differenze Nord-Sud nei test scolastici. Ma, ragionevolmente, tali differenze dipendono da fattori sociali, economiche e culturali, non dalla genetica.»

Insomma, passano i secoli ma sempre razza dannata restiamo…

«L’idea che il ritardo economico e sociale del Mezzogiorno derivi non da scelte politiche, da fattori storici, economici o geografici, ma da caratteristiche antropologiche o biologiche dei meridionali stessi è un’idea antica, riproposta più volte, a partire dall’Ottocento, e sostenuta apertamente fino agli anni Cinquanta, per esempio da studiosi come Friedrich Voechting nel suo libro La questione meridionale. È un’idea ancora diffusa, più di quanto si possa pensare, che, in maniera più o meno consapevole, permea il pensiero di molti. Quanto la fisiognomica di Lombroso e Niceforo fosse priva di fondamento l’hanno dimostrato la scienza e la storia. Lombroso, per esempio, riteneva che le prostitute, come i delinquenti, presentassero caratteri distintivi fisici, mentali e congeniti. Tra questi, l’alluce notevolmente separato dalle altre dita, come nel piede prensile delle scimmie, che rappresentava “un segno morfologico di regressione di queste donne indesiderabili nella società”. Per formulare queste osservazioni, Lombroso si era servito anche di alcune fotografie appartenenti allo schedario della polizia di Parigi. Pare, però, che non si trattasse di foto di prostitute, bensì di oneste (e presumibilmente morigerate) bottegaie parigine che avevano richiesto una licenza, e che il capo della polizia parigina gli aveva spedito per errore scambiandole, appunto, per foto di prostitute».

 

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