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CATANZARO – Che le donne siano per natura più ansiose non è un preconcetto: la dimostrazione scientifica arriva dall’Isn-Cnr di Catanzaro, in collaborazione con l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma. Alla base di questa predisposizione sembrerebbe esserci una variante del gene 5-Httlpr implicato nella regolazione della serotonina. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience. 

L’ansia, spiegano i ricercatori, è una normale emozione e ha la funzione fondamentale di segnalare situazioni pericolose o spiacevoli, mediante le modificazioni fisiologiche prodotte dall’adrenalina che entra in circolo nel sangue. Entro certi livelli, dunque, l’ansia è necessaria in quanto ci consente di affrontare situazioni stressanti. Se però supera certi limiti, può diventare anche la base per lo sviluppo di disturbi quali attacchi di panico e fobie. Gli studi hanno dimostrato che esiste una certa predisposizione nell’essere ansiosi: in particolare, una variante del gene 5-Httlpr, che regola l’espressione della serotonina, causa al soggetto portatore un aumento della quantità di questo neurotrasmettitore, capace di modulare i comportamenti emotivi. I ricercatori dell’Istituto di scienze neurologiche del Consiglio nazionale delle ricerche di Catanzaro, coadiuvati da Gianfranco Spalletta della Fondazione Santa Lucia, hanno realizzato una ricerca sull’anatomia cerebrale di centinaia di persone sane dimostrando che l’effetto di questa variante genetica a livello cerebrale sia molto influenzata dal sesso: le donne hanno una diversa regolazione e livelli di serotonina maggiori rispetto agli uomini. Lo studio è stato condotto con avanzate metodiche di neuroimaging. 
“Quello che abbiamo scoperto – afferma Antonio Cerasa, ricercatore Isn-Cnr – è che le donne portatrici della variante genetica che conferisce una dis-regolazione della serotonina sono più ansiose degli uomini e questa predisposizione si manifesta con un’alterata anatomia di una regione chiave nella regolazione dell’emozione: l’amigdala”. Grazie ai risultati di questo studio, conclude l’esperta, “è possibile immaginare che un giorno, non molto lontano, con un semplice esame del sangue e una risonanza magnetica, sarà possibile individuare le persone che possono avere una più marcata vulnerabilità allo sviluppo di comportamenti patologici”.
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