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Catanzaro – Il museo “Cesare Lombroso” di Torino dovrà i restituire il cranio del brigante calabrese Giuseppe Villella, su cui nel 1871 Lombroso asserì di aver rintracciato la famigerata “fossetta occipitale mediana” (a dimostrazione della teoria della delinquenza atavica) al Comune di Motta S. Lucia. L’ha deciso una sentenza del tribunale di Lamezie Terme (giudice il dottor Gustavo Danise) emessa venerdì, che dà ragione al Comune di Motta Santa Lucia, centro collinare del Lametino guidato dal sindaco Amedeo Colacino. Il tribunale ha anche deciso che le spese giudiziarie siano a carico del museo di Torino. 

«Giuseppe Villella, considerato esempio della delinquenza atavica meridionale, nacque a Motta Santa Lucia nel 1803; vissuto nell’Italia pre-unitaria si è da sempre battuto per il bene della sua gente, compiendo a volte azioni al limite tra la legalità e l’illegalità in un momento storico particolarmente sofferto per il Sud in cui la fame era la costante determinante di ogni azione – ha spiegato più volte Colacino – Egli prese parte con orgoglio e determinazione al movimento di resistenza contro l’annessione, i soprusi, i saccheggiamenti e la distruzione del sud ad opera dei Savoia. Condannato, da quanto si apprende da sedicenti documenti storici, tre volte per i presunti reati di furto e incendio, dopo esser stato marchiato con l’appellativo di brigante, fu arrestato e trasferito nel carcere di Vigevano dove morì nel 1872 circa. Fu proprio in quella occasione nel carcere di Vigevano che incontrò Cesare Lombroso, giovane medico specializzato in criminologia che, nei suoi primi anni di attività prese anch’esso parte alle campagne di repressione del brigantaggio nel sud d’Italia». 

Il Lombroso trascorse tre mesi in Calabria, dove affrontò lo studio della popolazione calabrese in rapporto al linguaggio e al folklore, rimanendo affascinato dal fenomeno della delinquenza che nel mezzogiorno sembrava avere la sua base originaria e primordiale. 

Alla morte di Giuseppe Villella, nel carcere di Vigevano nel 1872, Lombroso, in accordo con la polizia penitenziaria, effettuò studi sul cranio del Villella, nella convinzione che i criminali erano tali in virtù delle loro comuni caratteristiche anatomiche che li rendevano più simili ai primati che agli esseri umani. «Alla vista di quella fossetta – scrisse Lombroso – mi apparve d’un tratto, come una larga pianura sotto un infinito orizzonte, illuminato il problema della natura del delinquente, che doveva riprodurre ai nostri tempi i caratteri dell’uomo primitivo giù giù sino ai carnivori». Lombroso considerò quindi questo cranio «il totem, il feticcio dell’antropologia criminale». 

Le sue tesi furono poi respinte fermamente dagli scienziati. Nel corso della sua carriera Lombroso, tuttavia, aveva raccolto diversi resti umani. Reperti che alla sua morte diedero vita ad un vero e proprio museo riallestito a Torino nel 2009.

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