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L’EPIDEMIA da Covid-19 fa cambiare anche le nostre abitudini di stare in chiesa. Oltre al rispetto della distanza di sicurezza di almeno un metro durante le funzioni religiose, in linea con le disposizioni governative, i vescovi calabresi (e non solo) adottano ulteriori misure, che vanno dalla presenza, all’ingresso degli edifici di culto, di una soluzione idroalcolica fino all’avvertenza di lavarsi bene le mani, soprattutto per sacerdoti, diaconi e ministri dell’eucarestia. Si tratta di indicazioni di ordine igienico-sanitario che, all’interno di una comunità religiosa, acquisiscono un significato spirituale, da far risalire alle antiche pratiche di purificazione personale, legate all’elemento dell’acqua. In generale, la purificazione, come atto religioso, segna il passaggio dal profano al sacro, ma anche da una vita di peccato, di carne, ad una vita nuova, di spirito; da ciò che è impuro a ciò che è puro… Vi è un significato espiatorio dell’acqua che sta alla base dell’idea di una rigenerazione morale e, al contempo, spirituale. La sapienza ebraica, con il Salmo 26, fa cantare: «Lavo le mie mani nell’innocenza, e così faccio il giro del tuo altare». Nella rivelazione cristiana, poi, l’acqua è essa stessa simbolo di salvezza: dal costato trafitto di Gesù ormai morto, sulla croce, esce sangue ed acqua, come scrive Giovanni (19, 34). Ed è sempre Gesù che, prima della passione, per indicare uno stile nuovo, un ministero del servizio, nell’ultima cena lava i piedi degli apostoli, con l’acqua (Gv 13, 1-15).

È interessante osservare come nei secoli le diverse pratiche di purificazione abbiano assunto anche una funzione sanitaria. Ad esempio, Cassiodoro nel sesto secolo fonda un’istituzione monastica, il “Vivarium”, su alcune insenature costiere bagnate dal mar Jonio, e utilizza queste vasche naturali pure a fini terapeutici. Ancora oggi sono note le abluzioni praticate dai musulmani in preparazione alla preghiera, secondo quanto afferma il Corano: «Oh voi che credete! Quando vi accingete alla preghiera lavatevi i vostri volti e le vostre mani fino ai gomiti e detergete una parte delle vostre teste e dei vostri piedi fin alle caviglie» (Sura, 6). Oppure, pensiamo all’immersione nel fiume sacro del Gange prescritta per gli induisti.

Di certo, con il tempo, nel cristianesimo – a mano a mano che le questioni sanitarie venivano assorbite (e risolte) – le abluzioni acquisiscono sempre più valenza simbolica. A cominciare dal battesimo, che non è, peraltro, un battesimo «con acqua», come lo era quello di Giovanni il Battista, bensì in «Spirito Santo e fuoco» (Lc 3, 20). Nella liturgia cattolica vi sono altre forme di purificazione, di persone (le aspersioni dei fedeli o il gesto del sacerdote che si lava le mani) e di oggetti sacri (la purificazione del calice e della patena). Si tratta di riti che manifestano il desiderio di una purificazione che sia innanzitutto interiore. D’altronde, il messaggio cristiano va oltre la semplice ritualità dei gesti: i farisei e gli scribi si meravigliano che i discepoli di Gesù «prendono cibo con mani impure, cioè non lavate» (Mc 7, 2). Ma i grandi bagagli di informazioni che custodiscono le tradizioni religiose insegnano come l’igiene del corpo sia strettamente connessa all’igiene dello spirito, e viceversa. In tempi di epidemia da Covid-19 è una lezione da tenere ben presente.

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