Un reparto Covid
3 minuti per la letturaI reparti Covid in diversi ospedali calabresi stanno letteralmente scoppiando. Non bastano i numeri e la cronaca di ambulanze in fila qua e là con pazienti infettati dal virus in attesa di trovare un posto in ospedale per suggerire l’urgenza
di cambiare il ritmo con il quale trovare soluzioni? “Stiamo programmando”, “aumenteremo”, “faremo” sono espressioni incomprensibili alla luce della pandemia che sta uccidendo persone, che continua a infierire sulla tenuta psicologica della gente (nella più o meno lucida consapevolezza) e che sta dando il colpo mortale a decine di migliaia di attività economiche di quel fragile tessuto che comunque dà da mangiare ad un numero ben superiore di famiglie.
Basta sfogliare le pagine di questo giornale (e non solo) per rendersi conto di quante cose ancora non vanno a sufficienza per fronteggiare l’emergenza.
Basta leggere la cronaca (non, dunque, commenti o ipotesi) per capire che le carenze del sistema sanitario regionale hanno conseguenze drammaticamente palpabili. I vaccini? Certo, gli sforzi – fatti e anche quelli annunciati – sono apprezzabili (la via d’uscita dalla pandemia è proprio quella delle vaccinazioni), nonostante ancora i dati calabresi, al di là dei posti in classifica, dicano che la campagna fino a oggi è andata a rilento. Per non parlare delle disfunzioni, diciamo così, fino ad oggi registrate nel sistema delle prenotazioni.
E’ però necessario fare uno sforzo per guardare a quello che siamo e che saremo oltre la pandemia, quando tutto sarà finito. La pandemia finirà, ma la necessità di cambiare rotta sull’assistenza sanitaria in questa regione va ben al di là dell’emergenza. Un paradosso solo apparente.
Perché mai i calabresi dovrebbero sentirsi sicuri? Un caso su tutti sembra essere l’emblema di inefficienza spinta sino alla follia: se i dati dell’ente governativo Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) non certificano situazioni false, cosa del tutto improbabile, i posti di terapia intensiva in Calabria (tra quelli pre-esistenti e quelli attivati per l’emergenza Covid) sono da tempo immemore 152. Senza tirarla per le lunghe, sono in totale 7,9 per centomila abitanti, quando la soglia minima fissata dal Governo è di 14 ogni centomila abitanti.
Conta davvero poco che siamo, ovviamente, ultimi in Italia. Conta, invece, la sostanza di un inadempimento intollerabile. Non è rilevante che l’occupazione dei posti in terapia intensiva sia attualmente sotto la soglia di sicurezza (diversamente da quella dei reparti Covid non intensivi). Era stato stabilito che quel numerino (14 su centomila) fosse il minimo e quel numerino non è stato mai lontanamente raggiunto. E questo avrebbe dovuto suscitare una reazione adeguata non solo in chi ci governa – in termini di azione – ma anche in tutti noi calabresi, con veementi atti per reclamare quello che serve a farci sentire più sicuri. Nulla di tutto questo. Acqua fresca. L’argomento è tabù. Incredibile.
E non è una maledizione, per la Calabria. Nessuno le ha fatto un sortilegio. Non c’è niente di esoterico, di sovrannaturale in quest’atteggiamento che ha in sé assuefazione, disinteresse, rassegnazione. Atteggiamento di noi persone comuni prima ancora che dei nostri governanti, che in molti casi, di fatto, è complicità passiva verso chi dal meccanismo che non va trae vantaggio e dannato profitto. Nel caso delle terapie intensive, sicuramente, neppure questo. La sanità in Calabria, che eredita guasti e lucrose pastette decennali, da anni gestita da Regione e Governo, negli ultimi mesi – proprio per essere balzata agli onori nazionali della cronaca – avrebbe dovuto trarre beneficio, proprio dalla maggiore attenzione da parte dei vertici di questo Paese.
Ad oggi così non è stato. E se da mesi il numero dei posti in terapia intensiva è inchiodato appena sopra la metà della soglia minima, si sappia che la vergogna non sarà cancellata neppure quando questa pandemia sarà dichiarata cessata, perché questo accadrà, speriamo prima possibile. Incapaci? Inadeguati? Irresponsabili? Sarebbe facile e brutto etichettare chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Mettiamolo nella categoria “altro”, che abbiamo capito essere un modo efficace – a proposito di vaccini – per non dover usare termini ed espressioni sgradevoli.
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