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L’intesa tra Arpacal e i comuni del lametino per lo stato di salute delle acque rimasta sulla carta; i divieti di balneazione degli ultimi giorni sollevano dubbi


LAMEZIA TERME – I divieti di balneazione dei giorni scorsi (poi revocati) a Nocera Terinese, Gizzeria e Falerna (LEGGI LA NOTIZIA), su indicazioni dell’Arpacal, hanno rappresentato un déjà vu. Come le proteste sul mare sporco (l’ultima a Pizzo). Nulla di nuovo. Da anni siamo alle solite.
A tal proposito, ci si chiede che fine abbia fatto anche un protocollo d’intesa tra Arpacal e i comuni di Falerna, Gizzeria, Nocera Terinese e Lamezia Terme per la prevenzione delle criticità concernenti lo stato di salute delle acque di balneazione.
I comuni costieri avevano, infatti, già manifestato la volontà di aderire a un protocollo d’intesa nell’ottobre 2020, a seguito dell’incontro tra Arpacal, con il direttore generale Domenico Pappaterra, il direttore scientifico Michelangelo Iannone e Michele Mercuri in rappresentanza del comune di Falerna.

L’incontro era stato sollecitato dal comune di Falerna, sotto la spinta delle criticità concernenti lo stato di salute delle acque di balneazione di una parte della costa tirrenica. Da quell’incontro a oggi non è cambiato nulla.
Non si è nemmeno proceduto alla sottoscrizione dell’annunciato protocollo d’intesa, che prevedeva delle azioni integrate, finalizzate alla tutela delle coste e delle acque di balneazione, da coordinare e concertare a livello locale tra Arpacal e i comuni interessati (Falerna, Gizzeria, Nocera Terinese e anche Lamezia che aveva manifestato l’intenzione di aderire al protocollo d’intesa) valutando nel contempo l’opportunità di coinvolgere anche altri enti quali la Guardia Costiera e le associazioni che operano nel campo della tutela ambientale.

Nulla di tutto questo, visto che ora, nel 2024, sono ricomparsi i divieti di balneazione poi revocati, nonché le criticità del mare a partire dal fenomeno del colore verdastro delle acque.
Il fine del protocollo d’intesa, doveva essere quello di «sviluppare una collaborazione tra i diversi sottoscrittori con lo scopo di elaborare programmi ed azioni di intervento per la prevenzione e il controllo dell’ambiente marino e delle sue risorse, attraverso una collaborazione costante, reciproca ed integrata».

Tutto, però, è rimasto sulla carta. E non hanno dato i risultati attesi neanche le convenzioni siglate e le buone intenzioni manifestate ai più alti livelli. Come quella del 18 aprile scorso sottoscritta tra Regione Calabria, commissario liquidatore del Consorzio regionale per lo sviluppo delle attività produttive (Corap) Sergio Riitano, e commissario Arpacal, Michelangelo Iannone, alla presenza del dirigente generale dipartimento Ambiente, Salvatore Siviglia.
«L’iniziativa – aveva detto ad aprile scorso il dg Siviglia – si inserisce in un più ampio progetto di tutela del mare e delle acque di balneazione fortemente voluto dal presidente della regione Calabria, Roberto Occhiuto».

Ma nonostante la convezione fra Regione, Arpacal e Corap (ente competente per l’area industriale di Lamezia) a ridosso di ferragosto il sindaco di Lamezia, Paolo Mascaro, ha firmato un’ordinanza di sollecito indirizzata al Corap per quanto riguarda la situazione di scarichi e rifiuti all’interno dell’area industriale “Benedetto XVI”.
Il tutto dopo il sequestro (a luglio scorso) dei carabinieri di un tratto di circa 380 metri lineari del canalone industriale (di cui è competente, appunto, il Corap), pavimentato in cemento, che dell’area industriale si immette alla foce del fiume Turrina, con sbocco nel tratto di mare antistante il Golfo di Sant’Eufemia.

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