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Un Covid Hotel

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CATANZARO – Metti che le strutture alberghiere abbiano risentito pesantemente dell’emergenza sanitaria, rimanendo vuote da turisti. Metti che alcune delle stesse strutture alberghiere, vista la paralisi degli spostamenti, abbiano deciso responsabilmente di offrire un servizio utilissimo, richiesto a gran voce dalla politica e dalla cittadinanza.

Metti ancora che, una volta tanto, ci siano le risorse stanziate appositamente per attivare e rendere operativo e funzionante quel servizio. Concludi, infine, che l’operazione è stata un buco nell’acqua. Le strutture alberghiere vuote erano e vuote sono rimaste.

È la breve storia tristissima dei Covid Hotel. Per settimane al centro dell’opinione pubblica e poi improvvisamente dimenticati. Fino alla giornata di ieri, data ultima della proroga del mantenimento del servizio. Non ci sono ancora novità su una possibile ed ulteriore proroga. Il bilancio è implacabile: nove strutture e 426 posti che hanno lavorato a ranghi bassissimi.

Nonostante i sacrosanti doveri giuridici di segretezza che incombono in capo agli albergatori non abbiano consentito di addivenire ad un quadro numerico preciso, è emersa in ogni caso una situazione che non lascia margini a dubbi. C’è chi ha avuto solo 2 ospiti, ricambiati con costanza. Chi ne ha avuto qualcuno in più, chi qualcuno in meno. Ospiti che in tutti i casi sono stati trattati con tutta la cordialità e familiarità che può contraddistinguere un albergatore calabrese. Ma qualcosa che non è andata, c’è stata. Anche perché qualcuno ritiene che questo meccanismo dei Covid Hotel sia “funzionale”. Ma in che senso?

Nel senso che se domani mattina ci fosse la necessità di trasferire 20 o 30 pazienti in uno o più Covid Hotel, questi sarebbero “funzionali e funzionanti” a riceverli. Insomma, che le stanze dei nove Covid Hotel calabresi non abbiano avuto consumi di wi-fi ingenti (per citare uno degli obblighi incombenti sugli albergatori) non sembra essere affatto un segreto. Eppure, nel pieno della seconda ondata autunnale, lo strumento fu richiesto a gran voce.

Chiunque poteva raccontare di una persona che non era in grado di affrontare la quarantena a casa, per inidoneità degli ambienti a garantire un effettivo isolamento dal resto della famiglia. Allora, sull’onda dell’emergenza e del clamore mediatico, fu pubblicato il bando dal Dipartimento della Protezione Civile Regionale e le prime contrattualizzazioni sono arrivate sul finire dello scorso anno. Il resto della vicenda ha preso una piega tutta calabrese, consueta verrebbe da dire. Ed in assenza di risposte ufficiali e chiarimenti, i motivi di questo “buco nell’acqua” sembrano a dire il vero potersi identificare già dalla procedura di presa in carico di pazienti nei Covid Hotel.

«L’accesso alle strutture – si legge nella nota stilata dalla Protezione Civile – è programmato a seguito di segnalazione al Dipartimento di Prevenzione dell’Asp da parte di: medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, Usca, strutture ospedaliere, servizi sociali dei comuni per il tramite dei medici di base, direzioni sanitarie ospedaliere per dimissione protetta al domicilio, organi di controllo che rilevino situazioni che rientrino nel target». Il trasporto, invece, sarebbe dovuto avvenire con mezzi sanitari semplici.

Ed allora basta riavvolgere il nastro di questi ultimi mesi e ricordarsi le strutture ospedaliere costrette a ricoverare oltre la capacità già (stra)ordinaria, le ambulanze in coda per ore all’ingresso dei Pronto Soccorso, le settimane di attesa in casa per un tampone dall’Asp, i fogli excel mal compilati e i vaccini non registrati, il tracciamento inesistente, il valzer delle chiusure e fulminee riaperture delle scuole. La verità è che il sistema sanitario calabrese è allo sbando ed il taumaturgico “dream team” dei 25 che avrebbe dovuto affiancare il commissario ad acta, Guido Longo è evidente vittima di uno sviamento stradale. Come si poteva pretendere che questo meccanismo funzionasse bene? Come si poteva immaginare che si riuscisse a mettere in campo una coordinazione così ben oleata come richiede il protocollo?

 In tutto questo, una nota lieta c’è. I contratti stipulati prevedevano, a seguito del tavolo istituito con Federalberghi, una somma di 15 euro più Iva per ogni posto giornalmente non occupato. Fortunatamente per gli albergatori, che senza la clausola “vuoto-pieno” sarebbero stati beffati dal numero di trasferimenti nelle strutture. Sfortunatamente per i calabresi, che avrebbero avuto bisogno del servizio ed hanno visto ancora una volta investire malamente le risorse assegnate. Della serie: mancano i soldi e ci si lamenta; ci sono e non si sanno spendere.

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