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CERVA (CATANZARO) – «Perché gli avevi dato una mano». «E dove c…. andava»: sono soltanto alcune delle conversazioni intercettate dai carabinieri alla base del presunto patto politico-mafioso in seguito al quale sono finiti agli arresti domiciliari il sindaco di Cerva, Fabrizio Rizzuti (peraltro vicepresidente della Nazionale di calcio dei sindaci), il fratello Massimo, dipendente comunale, l’assessore Raffaele Scalzi e il consigliere di maggioranza Raffaele Borelli: secondo l’accusa, alle elezioni del giugno 2017, in cambio dell’appoggio elettorale fornito da Tommaso Scalzi, gli avrebbero procurato somme di denaro e avrebbero promesso una percentuale sugli appalti pubblici aggiudicati dal Comune.

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L’inchiesta coordinata dalla pm della Dda di Catanzaro Veronica Calcagno avrebbe svelato l’”indole spregiudicata” – scrive il gip distrettuale Chiara Esposito – di Rizzuti nell’affrontare la campagna elettorale che vedeva contrapposte due liste civiche: Progetto Futuro, guidata da Rizzuti, e Unione per Cerva, capeggiata dall’uscente Mario Marchio. La prima lista vinse ottenendo 436 voti contro i 416 della seconda, aggiudicandosi sette dei dieci seggi a disposizione. L’indagine avrebbe consentito di svelare il rapporto confidenziale di Rizzuti con esponenti delle cosche locali al punto da «piegare la funzione pubblica ai loro interessi». Per esempio, si sarebbe messo a disposizione di Vincenzo Antonio Iervasi, sorvegliato speciale, per compiere un falso in atto pubblico e consentire di celebrare il matrimonio con Luigina Marchio fuori dal Comune di residenza. Il fratello del sindaco e Raffaele Scalzi si sarebbero, invece, prodigati nel fargli riottenere la patente revocatagli e sarebbero intervenuti in una pratica a suo nome relativa ad un terreno sulla costa. Il presunto voto di scambio verrebbe alla luce proprio durante una conversazione intercettata durante la quale Iervasi commentava con Tommaso Scalzi il fatto che qualcuno gli aveva voltato le spalle dopo aver usufruito dei suoi servigi. Iervasi ne avrebbe parlato il giorno dopo con l’assessore Scalzi, riferendogli che la Giunta si sarebbe dovuta riunire per assecondare le richieste di Tommaso Scalzi, recuperando la somma di 20mila euro promessa dal sindaco. Altrimenti “Masino” si sarebbe “accanito”. «Bisogna trovare 20mila euro, così se ne va fuori dalle p…., hai capito la situazione? Perché quello la promessa gliel’ha fatta».

C’è tutto un gruppo di intercettazioni da cui si ricava l’attività di Tommaso Scalzi volta a “recuperare” le somme previste dal patto, al punto che il sindaco si rivolge ai carabinieri di Sellia Marina riferendo di essere preoccupato per l’incolumità sua e dei propri congiunti per quell’azione tesa a destabilizzare la serenità degli amministrazioni ma anche della comunità. Il primo cittadino affermava però di non conoscere la natura delle richieste. Ma Tommaso Scalzi viene a conoscenza anche dell’incontro avuto da Rizzuti con i carabinieri, dicendosi certo che il sindaco non avrebbe avuto il coraggio di rivelare la vera ragione di quelle pressioni. «Gli devono spiegare perché li voglio menare, che gli faccio del male, glielo devono dire». I sospetti degli inquirenti circa un patto elettorale verrebbero confermati da una conversazione durante la quale Tommaso Scalzi precisa perfino gli introiti semestrali che gli sarebbero stati promessi dal sindaco. “Massimuccio”, in particolare, gli avrebbe detto dei «soldi che gli dovevano arrivare ogni sei mesi».

E ancora: «Quando ne hanno parlato dissero “quello che esce. Io, Fabrizio, Raffaele, e tu, faceva Massimuccio, giusto?” Sono tutti al mangia mangia. Che là sono entrati per mangiare non per fare… Ho detto “guagliù, io vi aiuto, però vi dovete mettere per questi vecchietti, fare le cose per i ragazzi, dovete tenere più pulito il paese, che poi per la tranquillità me la vedo io”. Mi hanno promesso mari e monti, Massimuccio da una parte, Raffaele dall’altra…». Dettava la linea politica e si autoattribuiva una delega alla “sicurezza”, ma si lamentava che i politici (sindaco, assessore e consigliere indagato sono stati pure rieletti, ndr) ora facevano gli “urtati”. «Quando mi telefonavano prima delle elezioni non ero mafioso, adesso che hanno vinto non mi chiamano più».

Il sindaco viene sentito a sommarie informazioni, insieme all’assessore, e nega di aver avuto alcun rapporto con Scalzi a colloquio con i carabinieri anche se sa che è stato condannato per mafia. Ce n’è abbastanza, ad avviso del gip, per rilevare che Rizzuti fosse consapevole della caratura criminale di Scalzi, dimostratosi, a quanto pare, un «formidabile procacciatore di voti, capace di incidere, con esito determinante, sulle sorti elettorali del Comune». Non serve, per configurare il voto di scambio, che la promessa sia realizzata ma «è sufficiente che l’indicazione di voto sia percepita come proveniente dal clan», osserva sempre il gip.

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