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SOVERIA MANNELLI (CZ) – Un giovane imprenditore, Davide Scalise di 29 anni, è stato ucciso in un agguato a Soveria Mannelli, nel Lametino. Erano circa le 10.30 quando i sicari sono entrati in azione. In quel momento Scalise si trovava in un cantiere della frazione San Tommaso (nei pressi di un pastificio e in una zona isolata) dove stava lavorando con un escavatore dell’impresa di movimento terra di cui era titolare insieme al padre, Pino Scalise, attualmente in carcere nell’ambito dell’operazione Perseo contro il clan Giampà di Lamezia che a luglio 2013 fece finire in carcere 67 persone.
Daniele Scalise è stato preso alla sprovvista, il killer lo ha colpito alle spalle scaritandogli una raffica di proiettili con un’arma potente che gli ha devastato dorso e torace. Con ogni probabilità il sicario ha utilizzato un kalashnikov: lo ha stabilito il medico legale Aquila Isabella dell’Istituto di medicina legale dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro che ha eseguito sul luogo dell’omicidio l’esame esterno del cadavere di Scalise, trovato un posizione supina. Lunedì prossimo il sostituto procuratore della Repubblica di Lamezia, Marta Agostini, titolare delle indagini, conferirà l’incarico al medico legale Isabella per l’autopsia che sarà eseguita martedì o mercoledì prossimo all’Istituto universitario di medicina legale dove è stato trasferito il corpo.
Anche il papà di Davide fu preso di mira da killer ma nel 2000 sfuggì a un agguato. Pino Scalise è accusato di aver costretto un imprenditore a far partecipare la ditta Scalise all’appalto relativo alla realizzazione di una strada con propri mezzi meccanici ed a corrispondere una percentuale di denaro sui medesimi lavori pari all’l%; con le aggravanti di aver agito in più persone riunite. In questa vicenda anche Daniele Scalise figurava fra gli indagati. Sul luogo del delitto di stamattina, avvisati dai dipendenti del pastificio che hanno per primi scoperto il corpo di Scalise, è intervenuto anche un elicottero del 118, poi ripartito dopo mezz’ora perché non c’era nulla da fare. Un agguato che con ogni probabilità è stato compiuto da parte di chi sapeva benissimo che la vittima fosse in quel posto, proprio dietro il pastificio lontano dalla strada e da sguardi indiscreti.
Davide Scalise a marzo 2013 era stato catturato dopo un periodo di latitanza ma a settembre 2013 tornò in libertà dopo che la Corte d’Appello di Catanzaro gli aveva annullato l’ordinanza di carcerazione. Era stato arrestato dalla Squadra mobile di Catanzaro nel momento in cui era andato a prendere un panino insieme a due giovani di Decollatura, ritenuti i suoi fiancheggiatori. Fu tradito proprio dall’abitudine di consumare un panino in un locale di località Lenza di Lamezia ed era stato fermato dopo aver raggiunto il locale a bordo di una Mercedes guidata da uno dei due giovani e con l’auto che veniva preceduta da un altro veicolo “staffetta” guidato dall’altro giovane.
Dai primi controlli Scalise era stato trovato in possesso di un documento d’identità falso, intestato a uno dei due fiancheggiatori ma con la foto di Scalise. La cattura da parte della Mobile, scattò all’arrivo delle due auto quando gli agenti percepivano che il giovane che faceva da staffetta, arrivato a destinazione, scendeva dall’auto da lui condotta e dopo aver fatto una breve perlustrazione, faceva cenno alla Mercedes con a bordo Scalise come per dire che si poteva scendere. E al momento dell’intervento dei poliziotti della Squadra mobile, Scalise indicava ai suoi fiancheggiatori di nominare un avvocato di sua fiducia, di cui faceva il nome, dicendo «poi ci penso io».
Scalise era latitante poichè si era sottratto all’esecuzione di una pena (in tasca aveva la foto di Giovanni Vescio, uno dei due giovani lametini uccisi a Decollatura a gennaio 2013 all’interno del bar del Reventino – (LEGGI IL CASO) ed era ricercato da un anno in quanto doveva scontare due anni di carcere per estorsione nei territori di Soveria Mannelli, Decollatura e Serrastretta. La sua cattura giunse dopo che gli investigatori analizzarono le abitudini dell’uomo che permise agli agenti della Squadra mobile dichiudere il cerchio attorno al latitante che, però, era successivamente tornato libero.
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