Linterno dell'aula bunker di Lamezia Terme
4 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Un documento molto duro quello delle Camere penali di Catanzaro, Vibo, Crotone e Lamezia in difesa “del prestigio dell’avvocatura e per la rimozione di ogni ostacolo alla pari dignità tra tutti gli attori della giurisdizione”.
La presa di posizione nasce dalla decisione adottata dalla Corte d’Appello e dalla procura generale di Catanzaro – che ha creato forti malumori tra la classe forense – di inibire agli avvocati impegnati nei processi (quasi sempre di criminalità organizzata) presso l’aula Bunker di Lamezia Terme, il parcheggio delle auto nello sconfinato piazzale dell’edificio giudiziario. Tale decisione ha portato gli avvocati (tra l’altro, la stessa imposizione vale anche per i giornalisti) a sentirsi quasi come “persone non gradite” ma è stata proprio la motivazione addotta a creare le maggiori polemiche: “presunte e non meglio esplicitate ragioni di sicurezza”.
Secondo i penalisti, la “pomposa” aula bunker è dotata di spazi enormi destinati, fino a pochi giorni fa alla sosta delle auto: l’avvocatura (e non solo) vi accede(va) previo controllo da parte dei militari dell’esercito, di fatto un vero e proprio checkpoint, che registrano e annotano targa e documenti, previa verifica (anche) della effettività dell’impegno professionale. Inoltre – rilevano ancora le Camere penali – prima di accedere alla sede giudiziaria i clamori sono sottoposte ad ulteriori controlli attraverso la verifica dell’identità personale (con una nuova annotazione del nome e numero di tessera professionale sul registro tenuto dalle guardie giurate della vigilanza privata) e al passaggio dal metal detector ogni qual volta si entra o esce dall’aula”.
Fanno ricorso al sarcasmo i penalisti, evidenziando che, poiché. l’avvocato rappresenta “all’evidenza un “pericolo” per l’ordine pubblico e l’incolumità personale – di chi lo si può solo intuire – ad avviso dei dirigenti del distretto giudiziario della Corte D’Appello di Catanzaro appariva necessario implementare i presidi di sicurezza al fine di neutralizzare la fonte di rischio, vietando l’utilizzo agli avvocati del predetto ‘piazzale, già distante circa 300 metri dall’aula”. Parlano, le Camere penali, di “cultura del sospetto che dilaga” e di “utopia securitaria che rappresenta l’ennesimo e ingiustificato attacco nei confronti dell’Avvocatura, degno di un regime liberale, in cui il difensore è avvertito come un nemico del popolo e, come tale, merita di essere avversato”. Gli stessi avvocati mettono in chiaro che “qui non si tratta di rivendicare un diritto corporativo al posto auto (ora relegato in un luogo distante circa 800 metri)”, ma rilevano che è “in gioco, invece il doveroso e reciproco rispetto che tutti gli attori della giurisdizione dovrebbero reciprocamente riconoscersi come terreno minimo comune sul quale edificare e garantire il buon andamento della vita giudiziaria”.
Pertanto, “cosa sia accaduto negli ultimi giorni di cosi grave da inibire agli avvocati l’utilizzo del parcheggio (nemmeno destinato ad altra funzione) non è dato sapere. Peraltro, non a caso evidentemente presso il Tribunale e la Corte d’Appello di Catanzaro è stato introdotto, da pochi giorni, per i soli avvocati (non anche per magistrati, personale di cancelleria, addetti all’Ufficio del processo, guardie giurate, carabinieri, etc) il controllo di borse e valigette sui nastri trasportatori dei metal detector. Sicché, all’evidenza. l’avvocato è considerato come “fonte di pericolo per la sicurezza pubblica. Nella casistica della circostanze dei luoghi comuni e di quant’altro possa svilire e attaccare il ruolo difensivo, questa mancava”.
Alla luce di tutto questo, quanto appreso dal personale addetto alla vigilanza e dal Presidente del Collegio del Tribunale penale di Vibo Valentia nel corso dell’udienza del processo “Rinascita-Scott”, assume “le caratteristiche di un’ingiustificata aggressione al prestigio e alla funzione difensiva. Sia chiaro, l’attacco aspro e arbitrarlo ad uno solo degli attori della giurisdizione, non delegittima la classe forense ma, al contrario, lede l’immagine e la credibilità di tutto il Distretto”. Per questo, occorre avere il “coraggio e l’onestà di porre rimedio a simili errori di valutazione.
Per queste ragioni, le Camere Penali di Catanzaro, Crotone, Lamezia Terme e Vibo Valentia, manifestando forte preoccupazione e turbamento, chiedono che il presidente della Corte e il Procuratore Generale del distretto di Corte d’Appello di Catanzaro, ognuno nelle rispettive competenze, revochino, con effetto immediato, i provvedimenti che hanno determinato il trattamento discriminatorio riservato all’avvocatura chiarendone nel contempo la ratio, e si adoperino, per il futuro, a rimuovere ogni ostacolo al riconoscimento della pari dignità tra tutti gli attori della giurisdizione”. Per le camere penali, dunque, la magistratura “non deve difendersi dall’avvocatura, ma al contrario tutelarla”, e sottolineano che la classe forense “non è ospite negli uffici giudiziari, ma vi accede unitamente a tutte le parti processuali e al personale di cancelleria per svolgere la propria funzione, essenziale per la vita democratica del Paese”. In conclusione, i penalisti si riservano ogni ulteriore iniziativa politica finalizzata alla “tutela del prestigio e della dignità della classe forense, nello spirito che è proprio dell’Unione delle Camere Penali Italiane a cui con orgoglio appartengono”, e rappresentano “la propria disponibilità ad un confronto leale e proficuo (anche) sul tema della sicurezza nelle sedi giudiziarie del Distretto”.
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