Via Palestro dopo l'attentato
3 minuti per la letturaCATANZARO – «Da quel garage, dove stasera si sta celebrando una messa, il 27 Luglio 1993 alle 23.04, io ed i miei colleghi uscivamo con l’autonompa per recarci in via Palestro per l’incendio di un’autovettura, purtroppo da quell’intervento tre di noi, non rientrarono più. Mi sento fortunato a poterlo raccontare, anche se ci è mancato davvero poco, la mia vita è andata avanti, ma con il cuore spezzato da quella immane tragedia, non vi dimenticherò. Ciao Carlo, Stefano, Sergio».
Ogni anno, da 28 anni, Massimo Salsano, vigile del fuoco scampato alla morte, rivive la tragedia di via Palestro, quando l’esplosione di un’autobomba uccise tre suoi colleghi, un vigile urbano ed un senza tetto che dormiva su una panchina.
Nel 28esimo anniversario della strage, che le inchieste giudiziarie hanno attribuito a Cosa Nostra, ha affidato ad un post su Facebook il ricordo dei colleghi morti: Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno, e le altre vittime, il cittadino extracomunitario Driss Moussafir e il vigile urbano Alessandro Ferrari.
Gli anni trascorsi, come racconta all’Agi, non hanno cancellato dalla sua mente le scene di quella notte. Una squadra di sette vigili era uscita dalla caserma su richiesta della polizia municipale.
«Da un’auto usciva del fumo bianco. Io aprii una portiera. Il capo squadra, Stefano Picerno – ricorda – aprì il cofano della vettura, vide l’ordigno e, scherzando, disse: “Sarà una bomba?”». Purtroppo lo era davvero, nell’auto c’erano 100 chilogrammi di esplosivo.
L’esplosione scaraventò Massimo Salsano a 70-80 metri di distanza. «Fu come un tornado. La mia fortuna – dice – fu di non essere stato investito direttamente dall’esplosione ma solo dallo spostamento d’aria. Io e alcuni colleghi ci eravamo allontanati dalla vettura per fare sicurezza intorno e allontanare eventuali curiosi. Questo, probabilmente, ci ha salvato la vita. Sentii un dolore forte alle orecchie a causa della deflagrazione. Sono rimasto ferito dalle schegge, ma diversamente dai miei colleghi sono vivo».
Oggi Massimo, grazie alla legge per le vittime del terrorismo, non è più in servizio. Ha lasciato il corpo dei Vigili del Fuoco dopo 29 anni ed è in pensione. È tornato in Calabria, nella sua Catanzaro, ma da quel giorno la sua vita non è più la stessa. Gli anniversari riaprono la ferita, ma il film di quel tragico evento lo accompagna ogni giorno.
«Ci penso sempre – spiega – al di là della ricorrenza. Io ero appena entrato nei pompieri, avevo seguito il corso di formazione a Roma ed ero appena arrivato a Milano. Per me era tutto nuovo. Rientrare in servizio non fu facile. Durante la prima sera di lavoro, dopo il ricovero in ospedale mi è capitato di dover fronteggiare l’incendio di un’auto. Lo ricordo come se fosse avvenuto ieri: quando scesi dal camion mi bloccai, non riuscì a fare niente. Il caposquadra capì e mi disse di non preoccuparmi, di mettermi da parte perché avrebbero provveduto i colleghi. Ma piano piano, col tempo, l’ho superata».
Le istituzioni, dice, gli hanno dato la possibilità di andare in pensione in anticipo. Oggi ha 52 anni, è padre di due figlie ha lasciato il lavoro da due. «Ma per ottenere questi benefici – dichiara – ho dovuto lottare con le unghie. Tuttora combatto per rivendicare alcuni diritti con l’Inps. Non è riconosciuto tutto quello che la legge prevede, nessuno ti viene incontro. Certamente ho avuto molti riconoscimenti, ho avuto diverse medaglie, sono stato nominato Cavaliere, ma non è stato facile».
Dai processi è emerso che lo Stato, in quegli anni, era sotto l’attacco della mafia, inferocita dalle leggi repressive e dal carcere duro per i boss. Gli attentati, a Roma, Milano e Firenze, servivano per indurre lo Stato a trattare una tregua. «Secondo me non è venuto tutto a galla. Se ancora se ne parla – dice Salsano – è perché ci sono molte zone d’ombra, nomi di protagonisti della trattativa fra Stato e mafia non ancora svelati. È ancora un capitolo aperto».
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