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Tempio massonico

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La Dda produce nel processo Rinascita Scott nuovi elementi sulla loggia massonica coperta, Pittelli indicato al vertice della cupola dai pentiti


CATANZARO – Le scottanti rivelazioni sulla cupola massonica coperta, che comprendeva magistrati e avvocati di Catanzaro e Cosenza e aveva al suo vertice il “venerabile” Giancarlo Pittelli, il noto legale ed ex parlamentare catanzarese condannato in primo grado a 11 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, sono state prodotte dalla Dda del capoluogo calabrese nell’appello del maxi processo Rinascita.

Le dichiarazioni vennero ritrattate dal giudice Marco Petrini, ex presidente della Corte d’Appello di Catanzaro poi condannato per corruzione giudiziaria, presumibilmente in seguito alle pressioni della moglie, Maria Stefania Gambardella, responsabile di segreteria nello stesso ufficio giudiziario. Ma sembrano collimare con le rivelazioni dei pentiti, nell’informativa firmata dal pool antimafia che ha esaminato anche deposizioni rese in aula. «Ti sparano. Ti vogliono ammazzare tutti. A Lamezia non puoi venire».

Petrini poi negò di aver udito quella frase. Appena il caso di ricordare che il gip di Salerno archiviò il procedimento per corruzione in atti giudiziari, atti contrari ai doveri d’ufficio e concussione, in alcuni casi con l’aggravante mafiosa, a carico di magistrati, avvocati, commercialisti e imprenditori di Catanzaro, Cosenza e Crotone. Ma ci sono nuovi elementi emersi proprio dal processo Rinascita che potrebbero aggravare la posizione di Pittelli.

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TELEFONATA IN CONVENTO, PAURA E RITRATTAZIONE

Tutto parte dal percorso di collaborazione con la giustizia intrapreso dall’ex magistrato, un paio di settimane dopo l’arresto del gennaio 2020. Si trovava in un convento, ai domiciliari, quando la Guardia di finanza di Crotone, che aveva condotto la prima fase dell’inchiesta “Genesi”, intercetta la telefonata della moglie di Petrini, che lo accusa di “egoismo” e lo invita a “riflettere”. Pena la solitudine. «Non vengo più se non fai le cose che ti dico». Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il condizionamento è tale da far cedere Petrini, conducendolo alla ritrattazione.

Proprio poco dopo che Petrini aveva iniziato a parlare di una loggia massonica coperta, cominciava ad intravedersi un atteggiamento reticente, evidenziato in quelle occasioni dagli inquirenti, costretti ad insistere per ottenere delle risposte. I verbali riportano momenti di sconforto e ripensamenti. In aula Petrini ammette di aver avuto “paura”. Al pm Antonio De Bernardo che lo incalzava, Petrini parlò di «paura dell’ignoto, stato di prostrazione e turbamento» per «situazioni» rispetto alle quali non avrebbe saputo «tenere il controllo».

LA CERIMONIA DI AFFILIAZIONE, SMENTITA E RIMOZIONE

Uno degli argomenti trattati era stato proprio la sua affiliazione alla massoneria. Petrini raccontò di aver partecipato a una riunione nello studio dell’avvocato Pittelli a Catanzaro. C’erano suoi quattro colleghi della Corte d’Appello, un procuratore, alcuni avvocati. Il rito era presieduto da Pittelli con funzioni di “cerimoniere”. Petrini lesse pure, stando al suo racconto, la formula di giuramento e obbligo di fratellanza e di segreto. Le finalità della loggia, sempre a suo dire, era «quello da parte dei magistrati “fratelli” di assecondare le istanze degli avvocati». Dopo nove mesi Petrini ritratta. E smentisce pure gli elementi da lui già forniti su tutta una serie di vicende giudiziarie, a carico di mafiosi e colletti bianchi di mezza Calabria, che in un primo momento sosteneva che sarebbero state appianate in cambio di denaro.

Petrini parlò anche in aula di ricordo “selettivo”. Le rivelazioni erano frutto del suo stato di prostrazione, almeno quelle relative alle sue conoscenze sulla loggia massonica e alle responsabilità di altri magistrati e di avvocati. Ma di questa rimozione non offre alcuna spiegazione logica, osservano gli inquirenti, certi che Petrini abbia scientemente deciso cosa confermare e cosa “rimuovere” perché condizionato da pressioni. Non convince la Dda nemmeno una perizia psichiatrica con annessa intervista in cui Petrini dichiara di aver indossato “occhiali neri” che gli “impedivano di vedere la realtà”. Selettiva, la memoria di Petrini, anche con riferimento alla telefonata della moglie perché lui non ricorda che lei gli disse che lo avrebbero ucciso.

PENTITI COERENTI

Sembrano più “coerenti” con le dichiarazioni del primo Petrini, ad avviso della Dda, quelle di tre pentiti di ‘ndrangheta. L’ex boss scissionista di Vibo Andrea Mantella, l’ex capo del “locale” di ‘ndrangheta di Belvedere Spinello Francesco Oliverio. L’ex massone legato alla cosca Molè di Gioia Tauro Cosimo Virgiglio. Anche nelle dichiarazioni in dibattimento hanno fornito indicazioni sulle “entrature” in magistratura di Pittelli e particolari sulla “loggia coperta”.

RINASCITA SCOTT, LOGGIA MASSONICA PARAMAFIOSA

Mantella, per esempio, racconta di una “fratellanza” tra il suo ex capo, Luigi Mancuso, boss di Limbadi, e Pittelli. Il ruolo dell’avvocato catanzarese sarebbe stato decisivo per l’accoglimento di un reclamo per un permesso premio durante la detenzione per omicidio. Ciò grazie al coinvolgimento di un giudice che il pentito definisce «massone deviato di una loggia clandestina paramafiosa». In carcere gli fu pure promessa una candidatura come apprendista mafioso alla massoneria deviata di Città del Castello dopo aver difeso “Micuccio Macrì massone” dall’aggressione del boss di Cosenza Francesco Patitucci. Micuccio Macrì, che lo aveva “preso in simpatia”, era un cliente di Pittelli e nelle lettere i due si chiamavano “fratelli”, sostiene Mantella.

Ma cosa è la loggia paramafiosa? La spiegazione di Mantella è efficace. «Sai chi ci sta dietro il cappuccio? Può essere che ci sia il magistrato che ti ha fatto arrestare». Pittelli sarebbe uno dei “maestri” all’interno di questa struttura che fornisce “utile soccorso ai mafiosi”. Sempre secondo Mantella, «c’era pure Petrini». Mantella racconta di almeno due esponenti delle cosche vibonesi che avrebbero sborsato soldi a Pittelli, quale “mediatore” per “addolcire un magistrato”. Ma indica anche altri avvocati come “canali” per arrivare a Petrini.

SUSSURRATI ALL’ORECCHIO

In aula ha “cantato” anche Cosimo Virgiglio. Già “maestro venerabile”, quindi profondo conoscitore dell’organizzazione e dei riti della massoneria, Viriglio spiega come funziona la «loggia coperta», come opera e da chi è composta. Si tratta di esponenti delle forze dell’ordine, degli apparati di sicurezza, di magistrati. Sono i «sussurrati all’orecchio». Ma ci sono anche quelli che hanno problemi con la giustizia, tra i quali anche esponenti della criminalità organizzata, ovvero i «sacrati sulla spada». Qualcosa, secondo gli inquirenti, di “sovrapponibile” alla “confraternita” di cui parlava il primo Petrini.

RINASCITA SCOTT, LOGGIA MASSONICA E CORPO RISERVATO

Interessanti anche le rivelazioni dell’ex boss della Valle del Neto Francesco Oliverio, il cui cugino, Sabatino Marrazzo detto “il massone”, faceva parte della massoneria di Vibo e aveva rapporti, oltre che con le cosche Mancuso di Limbadi e Molè di Gioia Tauro, anche con «personaggi istituzionali e liberi professionisti». In ogni “buon clan”, del resto, spiega Oliverio, c’è un “corpo riservato” composto da incensurati, colletti bianchi che costituiscono la cerniera con un altro mondo.

«È venuto, che gli servivano 50mila euro. Già 90mila euro li aveva dati, perché mancavano dalla cassa pure, all’epoca era contabile Sabatino. Li doveva dare, dovevano aggiustare il processo». Oliverio si riferisce a un processo per un duplice omicidio compiuto a Rocca di Neto. Bisognava pagare un avvocato che avrebbe fatto da “tramite” con un giudice. Oliverio fa il nome di Pittelli ma dice che si potrebbe anche “oltre”, quando parla di “agganci”. E invita gli inquirenti a verificare da chi fosse composto il collegio che doveva pronunciare la sentenza.

LOGGIA MASSONICA, LE ANALOGIE NELLE DICHIARAZIONI IN RINASCITA SCOTT

«Piena compatibilità» sembrerebbe esserci con le dichiarazioni di Gaetano D’Urzo sulla loggia massonica coperta risalenti al 2009. Anche lui ha paura che possa capitare qualcosa ai suoi familiari che vivono a Vibo e ritratta. In quel verbale si parlava dell’appartenenza alla cupola anche di magistrati che ricoprivano importantissime funzioni a Catanzaro, e perfino di un ex governatore della Calabria, di un senatore, di cavalieri del lavoro.

Qualcosa di simile a quello che fa un altro pentito, Luigi Guglielmo Farris. Dopo aver parlato di una loggia massonica di cui avrebbe fatto parte Pittelli, arrivò un militare, “chiamato da un giudice”, che gli disse che la sua collaborazione con la giustizia sarebbe finita là. E non fu più contattato per deporre sui grembiuli. Non è un caso che, tracciando collegamenti con le pressioni subite da Petrini, gli inquirenti ipotizzino un «humus favorevole all’inquinamento probatorio» in quel verminaio che era diventata Catanzaro. L’aggressione giudiziaria alla cupola degli “invisibili” che forse per decenni ha dettato legge nella Calabria mediana e settentrionale si intensifica con l’avvento del procuratore Nicola Gratteri, che, insieme ai sostituti del suo pool, firma le memorie confluite nel maxi processo Rinascita. E non solo.

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