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Avvertì il marito killer al telefono del momento propizio per uccidere un fruttivendolo, condanna definitiva a 15 anni per la moglie complice, confermato l’ergastolo al marito
LAMEZIA TERME – Un’azione di morte definita in stile “Bonnie & Clyde” all’italiana. Gli assassini, infatti, erano pronti a fuggire all’estero dopo l’omicidio (dalle indagini emerse che avevano chiesto e ottenuto il passaporto).
La Cassazione ha messo la parola fine a questa brutta storia confermando l’ergastolo per Marco Gallo, un insospettabile perito elettronico diventato killer professionista (nel suo curriculum altri due ergastoli e una condanna a 30 per due omicidi e altri delitti). Ma la Suprema Corte ha confermato 15 anni di carcere anche per la moglie.
Subito dopo una prima condanna definitiva della Cassazione a 15 anni di carcere (emessa il 6 luglio 2023) per aver fatto da complice al marito nell’omicidio di un fruttivendolo davanti al suo negozio in una fredda sera di gennaio del 2017, la donna aveva presentato ricorso straordinario sempre in Cassazione rigettato però, a luglio scorso. Ora i giudici della Corte suprema hanno depositato i motivi del rigetto del ricorso straordinario di Federica Guerrise, 37 anni, complice del marito, per la quale i 15 anni inflitti sono divenuti ormai inappellabili.
FEDERICA GUERRISE, LA MOGLIE PRONTA A SOSTENERE COME COMPLICE IL MARITO KILLER
Come il marito Marco Gallo, anche Federica Guerrise veniva da una famiglia onesta e perbene. La sua giovane vita da infermiera (originaria della frazione Accaria di Serrastretta) ad un certo punto ha imboccato, però, una «cattiva strada» che in conclusione l’ha portata a finire al centro di un’accusa pesante. Ossia quella di aver dato il via libera al marito (diventando così complice del delitto) per uccidere il fruttivendolo 57enne Francesco Berlingieri, assassinato con tre colpi di pistola in testa la sera del 19 gennaio 2017 davanti al suo negozio di frutta in via Fiume a Lamezia.
IL DELITTO
Decisive per la svolta sull’omicidio del fruttivendolo furono le immagini delle telecamere private di videosorveglianza e l’analisi di alcune celle telefoniche. Tramite le immagini, infatti, gli inquirenti hanno potuto individuare la proprietaria di una Fiat 600 che la sera dell’omicidio (ma anche il giorno prima) si era più volte vista far manovre nei pressi del luogo del delitto seguita da una moto enduro. Individuando le lettere CZ della targa dell’auto (le sole visibili dalle telecamere) gli investigatori della Polizia di Stato riuscirono a risalire alla targa completa di quella 600 (un unico modello in provincia di Catanzaro) intestata appunto all’infermiera.
Altri elementi importanti per il delitto Berlingieri sono stati i numerosi contatti telefonici tra moglie e marito la sera del delitto. E dalle analisi del traffico telefonico globale della cella nei pressi del luogo del delitto, emerse la contemporanea presenza dei telefoni di marito e moglie nei momenti in cui fu anche constatata la presenza della moto utilizzata dal killer (Gallo aveva acquistato una moto da cross il 4 gennaio 2017, 15 giorni prima dell’omicidio) e quella dell’autovettura di supporto, nei pressi di via Fiume.
LA MOGLIE COMPLICE DEL MARITO KILLER
La donna, in particolare, avrebbe assunto il ruolo di “specchietto”, effettuando dei sopralluoghi a bordo della sua Fiat 600. Appostandosi nei pressi del negozio di frutta avvisando poi al telefono il marito dell’arrivo della vittima affinché entrasse in azione nel momento propizio.
Il killer (giunto da solo a bordo di una moto da cross e con il volto coperto dal casco) quella sera ha premuto quattro volte il grilletto. Tre proiettili colpirono la testa della vittima e il rimbalzo del quarto proiettile ferì di striscio alla gamba un bambino di 12 anni, nipote della vittima. Il movente del delitto era da ricercare nei trascorsi criminali di Berlingieri, dedito ai furti di mezzi con la pratica del “cavallo di ritorno”.
IL RICORSO STRAORDINARIO
L’infermiera ha poi tentato la via di un altro ricorso in Cassazione. Dopo la conferma delle condanne di luglio scorso della Cassazione, la donna complice, infatti, avanzò istanza nuovamente in Cassazione (tramite ricorso straordinario). Riteneva che i giudici sarebbero incorsi in «un errore di fatto nell’avere ritenuto sussistente il contributo partecipativo nella realizzazione dell’omicidio – con particolare riferimento al passaggio della vittima segnalato al complice –, che, per la Cassazione, non è, invece, consentito dalla legge, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Nei quali, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, sono state correttamente esplicitate le ragioni del convincimento di sussistenza del reato e di penale responsabilità.
E ritenendo un errore di fatto anche in ragione dell’omessa valutazione del motivo di ricorso con cui si censurava la mancata risposta ai rilievi difensivi articolati in merito al concorso nel reato dell’imputata, manifestamente infondato – scrive ancora la Cassazione – in quanto i giudici di legittimità hanno analizzato compiutamente la doglianza articolata evidenziando le argomentazioni sottese alla base del rigetto».
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