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Il luogo dell'omicidio di Francesco Pagliuso, avvenuto il 9 agosto 2016

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LAMEZIA TERME – Ergastolo definitivo per Luciano Scalise, mandante dell’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso. Una settimana fa a Marco Gallo, ritenuto il killer dell’avvocato Francesco Pagliuso, la Corte d’Appello di Catanzaro gli ha confermato l’ergastolo, ora la Cassazione ha confermato l’ergastolo (e anche altre tre condanne per altrettanti imputati in relazione ad altre accuse) per il mandante del delitto dell’avvocato, ucciso a Lamezia nella tarda serata del 9 agosto 2016 quando il killer lo freddò con diversi colpi di pistola al posto di guida dell’auto nel momento in cui l’avvocato aveva appena parcheggiato la sua auto all’interno del giardino della sua abitazione di via Marconi.

Anche per i giudici della Cassazione, a decidere che il 9 agosto del 2016 sarebbe stato l’ultimo giorno di vita dell’avvocato, è stato Luciano Scalise, ritenuto il capo dell’omonima cosca della montagna del Reventino insieme al padre Pino e al fratello Daniele, quest’ultimo ucciso in un agguato di stampo mafioso a Soveria Mannelli nel giugno di dieci anni fa. La Cassazione, oltre a confermare l’ergastolo per Luciano Scalise, ha confermato 20 anni di carcere nei confronti di Pino Scalise, per l’accusa di associazione mafiosa e a 3 anni, 10 mesi e 20 giorni per sequestro di persona (quindi 23 anni complessivi) contro l’avvocato; 6 anni e 8 mesi per Vincenzo Mario Domanico e 7 anni nei confronti di Andrea Scalzo (questi ultimi tre accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento a seguito di incendio, detenzione illegale di armi). Annullata, invece, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello, la condanna a 8 anni e 4 mesi per Angelo Rotella.

Il verdetto della Cassazione rientra nell’ambito del processo Reventinum, scaturito dall’omonima operazione coordinata dalla Dda, scattata a gennaio 2019 quando le indagini dei carabinieri avrebbero consentito di delineare gli assetti, nonché gli interessi criminali di due distinte e contrapposte cosche (con sullo sfondo il delitto Pagliuso) quella degli Scalise e dei Mezzatesta, derivanti – secondo gli inquirenti – dalla scissione del gruppo storico della montagna, nell’area del Reventino, compresa tra i comuni di Soveria Mannelli, Decollatura, Platania, Serrastretta e territori limitrofi. Per gli imputati, le accuse contestate, a vario titolo, erano di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento a seguito di incendio, detenzione illegale di armi, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose, mentre per Pino e Luciano Scalise anche di essere stati i mandanti dell’omicidio Pagliuso oltre che di sequestro di persona e violenza privata (contestato a Pino Scalise che in primo grado era stato condannato anche all’ergastolo per essere stato ritenuto anche lui il mandante dell’omicidio dell’avvocato ma per questa specifica accusa assolto poi in appello) nei confronti dello stesso avvocato ucciso.

A ordinare l’eliminazione dell’avvocato Francesco Pagliuso, dunque, sarebbe stato Luciano Scalise, 46 anni, di Soveria Mannelli, ritenuto – insieme al padre Pino – ai vertici della cosca della montagna che avrebbe incaricato il presunto killer, Marco Gallo (condannato all’ergastolo anche appello in un separato processo anche con l’aggravante mafiosa) di uccidere l’avvocato. L’operazione “Reventinum” fece emergere anche il movente dell’omicidio dell’avvocato, maturato nell’ambito di una faida scoppiata fra gli Scalise e i Mezzatesta che provocò altri fatti di sangue. Pagliuso prima di essere ucciso sarebbe rimasto vittima di un sequestro di persona. Il penalista sarebbe stato portato incappucciato da Lamezia in un bosco del Reventino. Dopo il sequestro di persona, Luciano Scalise, avrebbe ordinato l’omicidio dell’avvocato, accusato dagli Scalise anche di aver favorito la latitanza di Domenico Mezzatesta di cui Pagliuso era il legale in un processo per un duplice delitto avvenuto a gennaio 2013 in un bar di Decollatura.

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