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Possono riprendere l’attività i due avvocati lametini sospesi perché accusati di aver raggirato una donna, proprietaria dell’appartamento in fitto


LAMEZIA TERME – Possono riprendere l’attività di avvocato. La Corte di Cassazione – sezioni unite civili – ha, infatti, sospeso l’esecutività della sospensione dall’attività di avvocato che era stata emessa dal Consiglio nazionale forense, in accoglimento del ricorso del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lamezia Terme, nei confronti degli avvocati Antonio Larussa e Pietro Borello. Con la decisione della Cassazione i due avvocati possono ora riprendere l’attività di avvocato dopo la sanzione disciplinare per due mesi che era stata disposta nei loro confronti.

LA SOSPENSIONE DELL’ESECUTIVITA’ DELLA SANZIONE

La sospensione dell’esecutività della sanzione disciplinare è stata disposta con il parere favorevole del procuratore generale. La Corte suprema ha ritenuto sussistenti valide ragioni nel merito della vicenda che ha coinvolto i due legali la lametini assistiti dagli avvocati Giuseppe Sardanelli e Valerio Donato. Il provvedimento della sanzione disciplinare, come si ricorderà, trae origine da una vicenda contestata ai due avvocati sfociata in un procedimento penale poi estinto per prescrizione. In particolare, avrebbero approfittato della condizione di parziale incapacità di intendere e di volere della proprietaria dell’appartamento che avevano in fitto per lo studio legale.

L’ACCUSA DI RAGGIRO NEI CONFRONTI DI UNA DONNA

Secondo le accuse, avrebbero indotto la proprietaria dell’appartamento in fitto, attraverso – sostiene l’accusa – raggiri consistiti nell’aver fatto credere si trattasse di pratiche successorie relative alla morte della madre (LEGGI LA NOTIZIA). Nella denuncia/querela, la proprietaria rilevava che dall’agosto del 2010 e fino all’estate del 2011, gli avvocati avevano regolarmente continuato a pagarle il fitto dell’appartamento, riferiva, quindi, che il suo legale le aveva spiegato che la condotta degli avvocati avrebbe potuto avere la finalità di non farle rendere conto che aveva venduto l’appartamento oggetto del contratto di compravendita, per far decorrere il termine annuale per la proposizione dell’azione di rescissione e ribadiva che essa non si era, comunque, resa conto, anche per la sua condizione psicologica che si era aggravata, di aver venduto l’appartamento.

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