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Il luogo del duplice omicidio compiuto nell’aprile 2006 a Terranova Bracciolini nell’Aretino

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CERVA (CATANZARO) – «Sicuramente Domenico Colosimo aveva almeno la dote dello sgarro, perché aveva commesso l’omicidio dei fratelli Talarico»: parola del pentito Danilo Monti, ex killer della cosca di Cerva, che accusa un altro collaboratore di giustizia di uno dei fatti di sangue più gravi compiuti nell’ambito di una faida che per vent’anni ha insanguinato i boschi della Sila Piccola ed ha avuto propaggini anche fuori dalla Calabria.

Proprio dopo l’uccisione dei fratelli Talarico a Terranova Bracciolini, nell’Aretino, avvenuta nell’aprile 2006, la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto ordinò la pax mafiosa a due famiglie di ‘ndrangheta che si facevano la guerra, i Carpino e i Bubbo di Petronà. E chissà se il nuovo pentito, Domenico Colosimo, che ha saltato il fosso dopo l’arresto nell’operazione Karpanthos del settembre scorso, sta facendo rivelazioni anche su questo, dal momento che le sue prime “cantate”, versate nei procedimenti in corso, contengono parti omissate.

Con la rivelazione del pentito su Colosimo, potrebbero aprirsi, dunque, squarci di luce sul delitto dei fratelli Angelo ed Ettore Talarico, originari di Cerva, in provincia di Catanzaro, ma residenti nel Valdarno aretino, che avevano rispettivamente 42 e 35 anni quando vennero uccisi. Il duplice omicidio risalente a 18 anni fa resta al momento senza firma anche se nel settembre 2022 sembrava registrarsi un passo avanti nelle indagini, poiché il gip di Firenze dispose una perizia sul Dna. La perizia non avrebbe fornito prove univoche, ma anche se non emersero tracce di Dna ricollegabili a nessuno di nove dei dieci indagati per omicidio in concorso e associazione mafiosa, tutti residenti in Calabria, tuttavia fra loro farebbe eccezione un imprenditore edile che da anni vive a San Giovanni Valdarno. Per questo decimo indagato, l’esame avrebbe evidenziato tracce di Dna su un bicchiere, un paio di jeans e una maglietta trovati nell’abitazione dei Talarico. Tracce che tuttavia potrebbero essere ricondotte al fatto che lo stesso indagato fu in casa dei due fratelli calabresi qualche giorno prima della loro uccisione. Ma adesso c’è di più.

Alle rivelazioni di Monti, potrebbero aggiungersi ora quelle dello stesso Colosimo, di 47 anni, considerato uno degli esponenti di vertice del clan Carpino. Coinvolto nell’operazione Overland, condotta dai carabinieri del Reparto operativo di Catanzaro che negli anni 2006 e 2007 accertarono la sua appartenenza alla cosca di Petronà, Colosimo avrebbe avuto un ruolo nelle trattative per la pax con la “famiglia” rivale dei Bubbo imposta dalla cosca di Isola Capo Rizzuto. Non potè così vendicarsi per un agguato subito nel 2004 mentre rincasava e non andato a segno, a quanto pare, per l’intervento di qualcuno che mise in fuga gli aggressori sparando contro di loro. Un “azionista”, almeno così lo definisce il pentito Monti. Ma il dato sarebbe suffragato anche dall’arresto di Colosimo, avvenuto nel 2000 a Chiavari, in concorso con altri, per il possesso di un kalashnikov (reato per il quale fu condannato dal Tribunale della città ligure).

La Piccola Sila catanzarese oggi è zona d’influenza della cosca Ferrazzo di Mesoraca, dominante nell’Alto Crotonese e dintorni. Un tempo, però, l’ultima parola doveva dirla la famiglia Arena di Isola Capo Rizzuto, che nel 2006, dopo il sangue sparso in Toscana, aveva la forza per imporre il diktat per la pax. E a un tavolo dovettero stringersi le mani di quanti avevano ucciso e di quanti avevano subito perdite di stretti congiunti. Fino alla vendetta, stroncata sul nascere quella che forse Colosimo aveva in animo di intraprendere, per rispettare l’impegno preso al vertice nella località S. Anna a cui lui stesso presenziò.

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