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Marco Petrini

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La corte di Cassazione ha annullato in parte e con rinvio la sentenza di condanna emessa nei confronti del giudice ad oggi sospeso Marco Petrini


CATANZARO – La Corte di Cassazione ha riqualificato uno dei tre capi d’imputazione di cui doveva rispondere il giudice sospeso Marco Petrini da corruzione giudiziaria a corruzione in atti d’ufficio e ha annullato con rinvio, per la rideterminazione della pena, la condanna che era stata inflitta a lui e all’ex dirigente medico dell’Asp di Cosenza Emilio Santoro, di Cariati. Diventa definitiva la condanna per altri due capi d’imputazione nei confronti dell’ex presidente di Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.

In particolare, la Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione dovrà rideterminare la pena per Petrini e Santoro in relazione all’accusa di corruzione consistita nel favorire il coimputato Vincenzo Arcuri (per cui si procede a parte) in una causa intentata contro la Presidenza del Consiglio dei ministri e definita dal Tribunale di Catanzaro, con cui veniva dichiarato il difetto di legittimazione del convenuto, e appellata dall’attore che chiedeva il pagamento di 580mila euro per prestazioni professionali. Annullata con rinvio anche la quantificazione della confisca per tutti i ricorrenti. Annullata senza rinvio la sentenza di secondo grado riguardo alla sanzione pecuniaria e, con riguardo alla sola posizione dell’avvocato del Foro di Catanzaro Francesco Saraco, di Santa Caterina dello Jonio, la subordinazione alla sospensione condizionale della pena al pagamento della sanzione.

La Corte ha rigettato, per il resto, i ricorsi difensivi. In secondo grado, un anno fa, la Corte d’Appello di Salerno aveva disposto la condanna a 4 anni e 4 mesi di reclusione per Petrini, a 3 anni e 2 mesi per Santoro e a 1 anno e 8 mesi per Saraco. Sarà, dunque, necessario un processo d’appello bis per rideterminare le pene per gli imputati nel processo col rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che nel gennaio 2020 portò all’operazione Genesi, condotta dalla Guardia di finanza di Crotone e dallo Scico di Roma, che scoperchiarono un vasto giro di corruzione giudiziaria. Per tutti già in primo grado era stata esclusa l’aggravante mafiosa.

Passa in giudicato la parte della sentenza che stabilisce che il magistrato catanzarese avrebbe agito, in concorso con Santoro quale emissario dell’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato (per cui si procede a parte), per consentirgli la riassegnazione del vitalizio di cui era stato privato in seguito ad una condanna a sei anni di reclusione con interdizione perpetua per concorso esterno in associazione mafiosa. Santoro consegnò il denaro al giudice che, tra l’altro, ottenne anche due cassette di gamberoni e merluzzetti, una bottiglia di champagne più clementine, verdura e formaggi.

Da rivalutare limitatamente alla sanzione pecuniaria la parte della sentenza impugnata che stabilisce che l’avvocato Saraco, invece, si rivolse al giudice Petrini per ottenere la revoca della confisca di beni del valore di 30 milioni di euro disposta dal Tribunale di Catanzaro nei confronti di suo padre Antonio, ritenuto affiliato alla cosca Gallelli Gallace Saraco: 10mila euro il prezzo della corruzione, versato, alla presenza di Santoro, nell’ascensore dello stabile di Lamezia Terme in cui il giudice abitava.

Il giudice si adoperava anche per ridurre le pene, previa esclusione del reato di associazione mafiosa, per Antonio Saraco e Maurizio Gallelli, già condannati rispettivamente a 10 e 16 anni per estorsione, ricevendo una serie di utilità: non solo sciarpa e maglioncino griffati o le solite clementine, in quanto Petrini accettò anche la promessa di un appartamento a Rho (realizzato da una società controllata dai Saraco) e di un assegno di 100mila euro emesso da Santoro a titolo di garanzia. Petrini è difeso dagli avvocati Francesco Calderaro e Vincenzo Maiello, Santoro dall’avvocato Michele Gigliotti, Saraco dall’avvocato Giuseppe Della Monica.

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