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Antonio Gallo

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Motivata la sentenza Basso Profilo (rito ordinario) spicca il ruolo di Antonio Gallo, il Tribunale: «La ’ndrangheta reggina appoggiò l’ex assessore regionale Talarico»

CATANZARO – Per il Tribunale penale di Catanzaro il voto di scambio politico-mafioso c’era. Per la Corte d’Appello, invece, era corruzione elettorale semplice, non connotata da modalità ‘ndranghetistiche. Forse è questo il dato che balza all’attenzione se si spulciano le oltre 970 pagine di motivazioni della sentenza “Basso profilo”, appena depositate.

OPERAZIONE BASSO PROFILO, IL RUOLO CHIAVE DI ANTONIO GALLO

Tre mesi fa, nel filone processuale di Basso profilo svoltosi col rito ordinario, furono 38 le condanne, le più elevate delle quali, quelle a 30 anni di reclusione, per l’imprenditore di Sellia Marina Antonio Gallo, detto “il principino”, considerato vicino al clan Trapasso di San Leonardo di Cutro e figura chiave dell’inchiesta per il monopolio imposto nel settore antinfortunistico, e per il catanzarese Umberto Gigliotta, ritenuto l’immobiliarista delle cosche, anche lui vicino ai Trapasso. Furono dieci le assoluzioni, tra le quali spiccavano quelle di Tommaso e Saverio Brutto, padre e figlio, rispettivamente ex consigliere comunale di minoranza a Catanzaro ed ex assessore a Simeri Crichi.

Nel troncone processuale svoltosi col rito abbreviato, invece, i giudici hanno condannato in primo grado, a cinque anni, l’ex assessore al Bilancio della Regione Calabria (ed ex coordinatore calabrese dell’Udc) Francesco Talarico. Sentenza riformata in appello con rideterminazioni e assoluzioni e per il politico lametino. In particolare, l’accusa di voto di scambio politico-mafioso fu riqualificata in corruzione elettorale, con l’esclusione dell’aggravante mafiosa, tanto che la pena gli venne ridotta a 1 anno e 4 mesi.

BASSO PROFILO, GALLO “SI È MOSSO CON LE TIPICHE MODALITÀ MAFIOSE”

L’inchiesta, condotta dalla Dia di Catanzaro e coordinata dal pm Antimafia Paolo Sirleo, verte sulle attività illecite di una presunta cricca affaristico-mafiosa che si sarebbe proposta di espandersi in Albania con l’ausilio del luogotenente delle Fiamme gialle Ercole D’Alessandro (condannato a 6 anni e 8 mesi), allora in servizio al Goa di Catanzaro, tramite il quale il gruppo puntava a introdursi nei gangli della pubblica amministrazione del Paese delle aquile. Stando alle motivazioni della sentenza Basso Profilo emessa col rito ordinario, Gallo si è mosso «con le tipiche modalità mafiose della sopraffazione e dell’intimidazione» nel raccogliere consensi per il politico Talarico, e cioè in cambio di “entrature”, “punti di riferimento”, “un incarico in un organismo di vigilanza in una società”, ovvero «secondo la logica del do ut des».

Suoi «tramite», del resto, sarebbero stati i reggini Antonino Pirrello, imprenditore, e Natale Errigo, ex consulente di Invitalia, parenti di esponenti della ‘ndrangheta in riva allo Stretto. «Significativi – osserva il collegio penale presieduto da Beatrice Fogari – i riferimenti ai voti» su cui Pirrello «poteva contare nella zona di Archi, dove nella famiglia ci si muoveva “sempre in 30, 40”». Il quartiere Archi di Reggio è noto soprattutto perché là sono stanziate cosche tra le più potenti della ‘ndrangheta e il ricorso a un linguaggio criptico – “gli amici stretti” – secondo il Tribunale penale «lascia desumere abbondantemente il richiamo a metodologie mafiose».

IL RIONE ARCHI E LA SUA “PECULIARE DENSITÀ MAFIOSA”

Archi, in particolare, è un rione «connotato da una peculiare densità mafiosa», dove «l’egemonia è esercitata dal gruppo criminale di afferenza di congiunti di Errigo», scrive il Tribunale con riferimento alla famiglia De Stefano. I giudici rilevano «il ricorso ai classici protocolli utili alla ‘ndrangheta di avvalersi di soggetti apparentemente distanti da quei contesti, al di sopra dei sospetti, quali Errigo. Tale lettura è suffragata dalla considerevole mole di voti raccolti ad Archi», è detto ancora nella sentenza. Insomma, «Gallo si era impegnato in prima persona nella raccolta di voti in favore di Talarico sì da ritenersi immanente nell’illecita pattuizione una modalità di acquisizione del consenso mediante un condizionamento diffuso sulla prepotenza e la sopraffazione».

Talarico alle politiche del marzo 2018 non ce la fece per una manciata di voti ma i giudici si soffermano sul fatto che lui, di origini lametine, nelle sezioni di Archi e Gallico, in territorio reggino, riscosse 1660 preferenze. Talarico stesso, in un’intercettazione valorizzata nella sentenza da poco depositata, afferma di aver fatto un “bordello” a Reggio e fa riferimento all’”allestimento” di una segreteria, per la quale, ricordano i giudici, si adoperarono Gallo e Pirrello.

IL RUOLO DEI CATANZARESI BRUTTO CHE HANNO INDIVIDUATO LA FIGURA DI GALLO

A diverso esito, sempre secondo i giudici, si deve giungere per i catanzaresi Brutto, che erano accusati di aver individuato la figura di Gallo mettendolo in contatto con Talarico e col finanziere. Gallo, quale promotore, avrebbe utilizzato le proprie compagini aziendali per stipulare contratti di appalto e si sarebbe interfacciato con i politici, anche promettendo loro appoggio elettorale, grazie a pacchetti di voti di cui disponeva, per insinuarsi negli appalti. Una strategia nell’ambito della quale il gruppo incontrò perfino Lorenzo Cesa, ex leader nazionale dell’Udc, la cui posizione venne archiviata, come si ricorderà. Ma, secondo i giudici, non ci sono prove che i Brutto fossero «consapevoli» di «tutte le dinamiche programmate e messe in atto da Gallo».

È appena il caso di ricordare che, pur rilevando la natura non gratuita dell’accordo tra Talarico, Errigo e Pirrello, la Corte d’Appello, nel troncone processuale del rito abbreviato, approda a conclusioni diverse. «Ci muoviamo in 30, 40» è un’espressione che il Tribunale penale di Catanzaro ritiene emblematica del metodo mafioso. Secondo la Corte d’Appello, però, va letta diversamente, nel senso che Errigo «avrebbe potuto garantire 30, 40 voti ad Archi tra familiari ed amici stretti e non che 30, 40 persone si sarebbero “mosse” con metodi mafiosi per imporre alla popolazione di sostenere il politico».

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