Il tribunale di Lamezia Terme
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Assolto in via definitiva chiede ma gli viene negato il risarcimento per ingiusta detenzione, il caso del lametino Angelo Paradiso
LAMEZIA TERME – Non sempre quando si esce assolti da un processo dopo essere stato in carcere (ma anche ai domiciliari) si è risarciti per ingiusta detenzione. È il caso del lametino Angelo Francesco Paradiso 37 anni. Nei suoi confronti la Cassazione ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza del 28/03/2022 della Corte d’appello che ha rigettato la domanda formulata da Paradiso per la liquidazione dell’equa riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione a misura cautelare privativa della libertà personale per complessivi 393 giorni (53 giorni in carcere; 340 giorni agli arresti domiciliari).
La misura era stata disposta dal gip del Tribunale di Catanzaro con ordinanza del 21 giugno 2012 (eseguita il 28 giugno 2012). L’accusa era la ritenuta sussistenza di gravi indizi dei reati di porto e detenzione di arma comune da sparo aggravati dall’agevolazione alla cosca mafiosa (aggravante che fu esclusa già in sede di riesame).
IL CASO DI ANGELO PARADISO, ASSOLTO IN VIA DEFINITIVA MA SI VEDE NEGATO IL RISARCIMENTO PER INGIUSTA DETENZIONE
All’esito di giudizio abbreviato, con sentenza del 17 maggio 2013, Paradiso fu condannato dal gup del Tribunale di Catanzaro alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione. La sentenza di condanna è stata riformata dalla Corte di appello di Catanzaro che ha assolto Paradiso per non aver commesso il fatto. La sentenza di assoluzione, pronunciata il 22 gennaio 2015, è divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2015.
La Corte di appello di Catanzaro ha poi respinto la domanda di liquidazione dell’equa riparazione per la detenzione subita da Paradiso. Ciò perché ha ritenuto che egli avesse dato causa o concorso a dar causa alla privazione della libertà personale con un comportamento gravemente colposo. Comportamento consistito nell’aver affermato, nel corso di una conversazione intercettata il 5 ottobre 2011, che avrebbe acquistato delle cartucce calibro 9×21 e le avrebbe utilizzate contro chi si fosse rifiutato di «pagare».
Secondo l’ordinanza impugnata, poiché quella conversazione avvenne all’interno di un’auto nella quale si trovavano anche Nino Cerra (classe 1991) e Umberto Egidio Muraca, sospettati (come Paradiso) di aver fatto parte della cosca Giampà, nel caso di specie trova applicazione anche la giurisprudenza secondo la quale le frequentazioni ambigue di soggetti coinvolti in traffici illeciti si prestano ad essere interpretate come indizio di complicità e possono dunque integrare colpa grave ostativa al diritto alla riparazione.
LA RICOSTRUZIONE DELLA CORTE ALLA BASE DELLA NEGAZIONE DEL DIRITTO
Il difensore osserva che la Corte ha valorizzato quale condotta ostativa una conversazione il cui contenuto è stato ricostruito nella sentenza di assoluzione. Nel senso che la pistola non era detenuta da Paradiso, ma da terza persona. Nel ricorso si riferisce, riportando stralci della sentenza di assoluzione, che, secondo i giudici della cognizione, il proposito di comprare dei proiettili e sparare a chi non pagava fu solo la manifestazione di un «iperbolico proposito minaccioso» dal quale non si poteva «trarre la prova certa dell’effettivo possesso dell’arma».
Quanto alle frequentazioni ambigue di soggetti coinvolti in traffici illeciti, la difesa osserva che Nino Cerra e Umberto Egidio Muraca sono stati assolti con formula piena dalle accuse formulate a loro carico. E che, in altro procedimento, Paradiso è stato assolto dal reato di associazione mafiosa per non aver commesso il fatto.
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Ma per i giudici della Cassazione che hanno ora depositato i motivi, l’ordinanza impugnata ha sviluppato un ragionamento congruo, non contraddittorio né illogico e immune dalle censure che gli vengono addebitate. Non è contraddittorio né illogico affermare che la manifestazione della volontà di munirsi di proiettili e di sparare a debitori propri o di altri fu gravemente imprudente perché tale da rendere prevedibile l’intervento dell’Autorità giudiziaria e l’adozione di provvedimenti restrittivi.
Come risulta dalla lettura degli stralci della sentenza di assoluzione riportati nel ricorso, i giudici della cognizione non hanno escluso che Paradiso abbia pronunciato le frasi di cui si tratta, ma si sono limitati a sottolineare che, qualche ora dopo aver pronunciato quelle frasi, i conversanti attribuirono ad un terzo il possesso di una pistola 9×21 (Paradiso chiese: «se la porta dietro questo» e Muraca rispose «ha una 9×21 bella») e, su queste basi, hanno ritenuto di non poter affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che, quando la conversazione si svolse, Paradiso fosse effettivamente in possesso di un’arma».
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