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La Corte d'assise di Catanzaro

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LAMEZIA TERME (CZ) – Dieci anni e 20 giorni di carcere (oltre al risarcimento danni alle parti civili). Questa la pena inflitta al termine del processo celebratosi con il rito abbreviato nei confronti di Giuseppe Arabia, 32 anni, di Amato (ma residente a Miglierina) che nella serata del 3 maggio 2019 con pugnalata all’addome colpì a morte per motivi passionali Cesare Falvo, 50 anni, di Miglierina.

La Corte d’Assise di Catanzaro (presidente Alessandro Bravin) ha escluso le aggravanti per Arabia, difeso dall’avvocato Anselmo Torchia, che ammise le sue responsabilità dopo essere strato messo alle strette dai carabinieri. Sullo sfondo dell’omicidio motivi passionali.

Secondo quanto emerse dalle indagini, la vittima, utilizzando Facebook, avrebbe rivolto degli apprezzamenti alla compagna di Arabia il quale, preso da un raptus di gelosia avrebbe attinto all’addome, con una sola coltellata, Cesare Falvo fuggendo poi in auto e occultando l’arma del delitto, un grosso pugnale da sub, con lama di circa 20 cm, all’interno del guardrail della statale 280 svincolo Marcellinara, dove poi i militari dell’Arma effettivamente lo trovarono.

Già dopo essere stato sentito prima del fermo dal sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Andrea Giuseppe Buzzelli, Giuseppe Arabia ammise le sue responsabilità raccontando dei continui messaggi che la vittima avrebbe mandato alla sua compagna e con l’intento di chiarire la situazione sarebbe andato a casa di Falvo (in casa c’era anche la compagna di Falvo).

La discussione sarebbe poi degenerata in tragedia. Arabia avrebbe riferito che non avrebbe voluto uccidere Falvo e che durante la discussione fra i due la vittima avrebbe messo le mani nella tasca dei pantaloni e l’omicida, pensando che Falvo avrebbe potuto puntargli un’arma, avrebbe reagito accoltellando la vittima all’addome. Arabia dopo aver colpito Falvo si dava alla fuga in auto e dopo serrate ricerche la svolta. Il comandante della stazione dei carabinieri, che si recò a casa di Arabia dove vi era la compagna, contattò telefonicamente l’uomo. Instaurando un pacato dialogo, lo tranquillizzò, e infine lo convinse a desistere e a farsi trovare. Di lì a poco i militari rintracciarono infatti Arabia poco distante da casa. 

Dopo un primo momento di reticenza, messo alle strette dai militari, riferì subito che era stato lui a pugnalare Cesare Falvo. L’uomo confessò tutto e, su indicazioni dello stesso, i militari trovarono anche l’arma del delitto, un grosso pugnale da sub, con lama di circa 20 cm, di cui l’uomo si era disfatto.

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