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Il camioncino dei rifiuti dove furono uccisi i due lavoratori

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Un anno fa, alle 5 del mattino, come quell’alba di 30 anni fa, a quel luogo tragico fu dato un senso. Due alberi di limoni, infatti, furono piantati l’anno scorso (il 24 maggio) per Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte proprio nell’ora della loro barbara uccisione ancora rimasta impunita. Quell’alba di 30 anni fa si rivelò tragica al quartiere Miraglia dove il 24 maggio del 1991 il silenzio fu rotto dalla raffica di proiettili di un kalashnikov di fabbricazione statunitense calibro 7,62, che non diede scampo a Tramonte e Cristiano, due dipendenti comunali vittime innocenti di mafia, freddati all’interno del camion della raccolta dei rifiuti.

Proprio la gestione del servizio di nettezza urbana per conto del Comune di Lamezia sarebbe stato il movente del duplice delitto. La lotta fra cosche per l’accaparramento dell’appalto della raccolta dei rifiuti in città (con la complicità di chi gestiva la cosa pubblica all’epoca dei fatti) sarebbe stata alla base della barbara uccisione di due onesti lavoratori.

Quel giorno di 30 anni fa rimase ferito un collega di Tramonte e Cristiano, Eugenio Bonaddio, che riuscì miracolosamente a sfuggire alla raffica di kalashnikov esplosi da un killer che in un primo momento fu individuato, arrestato, assolto in primo grado e definitivamente dopo che il pm (Luciano D’Agostino) incredibilmente presentò fuori termine il ricorso dichiarato in appello inammissibile appunto per scadenza termini (uno dei tanti punti oscuri della vicenda) .

Trent’anni, dunque, solo di sospetti, di dichiarazioni da parte di due pentiti, di continui appelli da parte dei familiari delle vittime ma nessuna verità. E a piantare i due alberi di limoni all’alba del 24 maggio 2020 c’era anche Rocco Mangiardi, testimone di giustizia, esponente di Libera, che, a proposito del trentennale del duplice delitto rimasto ancora impunito ricorda che «tutto sembra ancora tacere». E che «il silenzio politico e istituzionale è assordante più che mai».

Rimarca che «certamente quest’anno, essendo il trentennale e con le elezioni regionali in vista , fissate per l’autunno prossimo, qualche presenza in più certamente ci sarà». «Accorreranno tutti, in contrada Miraglia, perché – incalza Mangiardi – questa per loro sarà l’occasione ,un giorno di visibilità da sfruttare e da non perdere e, chissà ,mi chiedo io, se a presenziare ci sarà anche qualche ex amministratore che nel 1991 sedeva tra gli scranni di quel Consiglio Comunale ,poi sciolto per infiltrazioni mafiose» (quattro mesi dopo il duplice delitto quando non mancarono i possibili collegamenti fra lo scioglimento e il duplice delitto).

«Nulla si sa sui mandanti di quell’orribile eccidio, perpetrato in quell’alba di sei lustri or sono, che per qualche volontà occulta, o assurda negligenza, sono caduti nell’oblio. Eppure, gli appalti per la raccolta dei rifiuti solidi urbani erano appetibili e non poco se, per ottenerli ,le “belve umane” sono arrivate a “commissionare” quella terribile strage».

«Qualcuno dietro quegli scranni, se onesto, avrebbe potuto dare una mano per far si che venisse fatta luce. Ad oggi – ribadisce Mangiardi – per quella strage nessuna verità è stata accertata, quei corpi martoriati e i loro familiari chiedono ancora Giustizia. Per Tramonte e Cristiano, due poveri cristi, cittadini esemplari e onesti che, come dice il regista Francesco Pileggi in un suo monologo, “si erano alzati in quell’alba per farci vedere più pulito un pezzo di mondo”. Non ci sarebbe bisogno di “passerelle” istituzionali, ma di cittadini onesti e attivi che uniti chiedano a gran voce e senza mai stancarsi con voce univoca verità , verità sì verità ,poiché – conclude – è questo l’unico modo che abbiamo per far scaturire quel grande barlume che noi chiamiamo Giustizia».

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Alessandro Chiappetta

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