Il Tribunale di Catanzaro
2 minuti per la letturaCATANZARO – Quattro condanne e quattro assoluzioni. Sono le sentenze inflitte dal Tribunale collegiale di Catanzaro nei confronti degli imputati coinvolti nel processo “Pietranera” scaturito dalle indagini della Dda di Catanzaro contro la cosca Gallelli di Badolato. Undici anni di reclusione sono stati comminati a Vincenzo Gallelli e nove a Antonio Gallelli. Francesco Larocca è stato condannato a 7 anni, Giuseppe Caporale (8). Esclusa l’aggravante mafiosa. Assolti Andrea e Antonio Santillo, Giacomo Nisticò e Antonio Luciano Papaleo.
Le attività investigative, condotte dalla Squadra mobile di Catanzaro e coordinate dalla Procura distrettuale antimafia, hanno permesso di accertare che il capocosca, il 74enne Vincenzo Gallelli ha imposto, per oltre vent’anni, la «guardiania» sulle proprietà dei baroni Ettore e Lucia Gallelli, rappresentati dall’avvocato Michele Gigliotti, fissando le modalità di sfruttamento dei terreni e costringendo, di anno in anno, gli imprenditori a concederli a pascolo ed erbaggio a propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendone così il libero sfruttamento commerciale da parte dei proprietari.
Secondo l’accusa gli imprenditori, vittime delle pretese estorsive, dalla metà degli anni ’90 al 2008, sarebbero stati costretti ad accettare la presenza nelle loro aziende, con il ruolo di “custode”, di Vincenzo Gallelli, che in virtù del suo peso criminale, garantiva loro la necessaria «tranquillità ambientale». In cambio li costringeva a donargli denaro e ad affidare a sé o a suoi familiari prossimi, la gestione e lo sfruttamento di altri fondi agricoli.
Tra questi c’era il pronipote trentasettenne Antonio Gallelli, vietando ai legittimi proprietari di fatto, di esercitare, sui terreni attività non concordate con il capo cosca. Inoltre, Gallelli, per realizzare il proprio piano criminale, ha utilizzato il nipote Antonio Santillo, di 31 anni, i pronipoti Antonio Gallelli (40) e Giuseppe Caporale (39), paventando per il tramite di Franco Larocca (54), del genero Giacomo Nisticò (53), il verificarsi di gravissimi atti di sangue qualora le sue direttive non fossero state seguite. Nel collegio difensivo gli avvocati Vincenzo Cicino, Salvatore Staiano, Domenico Pietragalla.
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