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LAMEZIA TERME – L’impianto accusatorio messo su dalla Dda di Catanzaro nell’ambito dell’operazione “Perseo” regge anche per altri due indagati per i quali il Riesame ha rigettato sia la richiesta di scarcerazione che il dissequestro dei beni. Giuseppe Notarianni resta dunque in carcere e la moglie, Carmen Bonafè, ai domiciliari. La maxi retata del 26 luglio scorso contro il clan Giampà e la zona grigia (LEGGI L’ARTICOLO) ha interessato pure il reimpiego di capitali accumulati (in questo caso) attraverso l’usura che sarebbe stata praticata dalla famiglia Notarianni inglobata nella cosca Giampà per costruire un complesso residenziale (due villette ancora invendute e un appezzamento di terreno sul quale non erano stati ancora edificati fabbricati).
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SULL’OPERAZIONE PERSEO
In particolare Giuseppe Notarianni e la moglie Carmen Bonafè, attraverso l’impresa Edilnotar (risultata in realtà inattiva e utilizzata per giustificare le movimentazioni bancarie) “ripulivano” il denaro investendolo nell’edilizia. Accuse per le quali la Dda di Catanzaro chiese e ottenne l’arresto il 26 luglio scorso di marito e moglie. Nulla da fare per i loro difensori che avevano chiesto la scarcerazione degli indagati e la restituzione dei beni che il Gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia aveva individuato nel corso delle indagini e per i quali il pm della Dda Elio Romano aveva chiesto e ottenuto il sequestro. La corposa memoria difensiva presentata in sede di Riesame dagli avvocati Aldo Ferraro e Stefania Rania non è stata sufficiente ad intaccare l’impianto accusatorio costruito dagli inquirenti. In sostanza, le Fiamme Gialle, attraverso accertamenti bancari avevano riscontrato che Giuseppe Notarianni e la moglie, nel 2001, avviavano una impresa edile, la Edilnotar, che sarebbe servita solo per giustificare l’impiego in attività economiche del denaro provento delle attività usurarie svolte dai loro congiunti, tutti ritenuti sodali della cosca di ‘ndrangheta dei Giampà. Attraverso l’impresa Edilnotar, secondo le accuse, avevano acquistato un terreno ubicato in contrada Talarico di Lamezia (ora via monsignor Azio Davoli) che procedevano poi a lottizzare e quindi realizzare un complesso residenziale, costituito da villette bifamiliari, per la successiva cessione a terzi e, in un caso, ai loro congiunti Aldo Notarianni (fratello di Giuseppe e ritenuto componente della cupola del clan Giampà) e la moglie Giuseppina Giampà (nipote dello storico boss Francesco Giampà detto “il professore”) ai quali l’immobile era stato già sequestrato nell’ambito dell’operazione “Medusa” (i due coniugi infatti sono stati già condannati per l’operazione del 28 giugno 2012).
Dalle indagini della Finanza è emerso che gli investimenti di Notarianni sarebbero stati possibili poiché Giuseppe Notarianni e Carmen Bonafè si sarebbero avvalsi di un impresario prestanome, nel frattempo deceduto, nonché di una ditta individuale, la Edilnotar di Carmen Bonafè. E sui conti correnti intestati all’impresa, infatti, dal 2001 al 2009 sono stati effettuati versamenti per un totale di 2.086.111,80 euro che non hanno trovato alcuna giustificazione commerciale e/o d’impresa. I finanzieri sono partiti nell’indagine dall’esame di un assegno dell’importo di 10.000,00 euro che un commerciante aveva emesso a favore di un professionista e che questi aveva girato a Carmen Bonafè. Nell’approfondimento degli accertamenti le fiamme gialle hanno scoperto che i coniugi Notarianni si erano accaparrato un terreno ubicato in via Azio Davoli ed qui hanno realizzato tutta una serie di villette che hanno venduto (anche a poliziotti e carabinieri). Tuttavia, in questa operazione immobiliare il loro nome non è mai figurato formalmente, mentre figurava quello del professionista, reale proprietario degli immobili, il cui ruolo nella vicenda non è stato possibile chiarire a causa del suo decesso.
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