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Eroina sequestrata

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Arrivava dall’Albania, passando per il porto di Bari, l’eroina spacciata a Catanzaro e nel resto della Calabria. Sgominati con 14 arresti un gruppo rom e uno albanese di narcotrafficanti. Stupefacenti nascosti in stalle e ovili. In tutto, 78 gli indagati

CATANZARO – Fiumi di droga provenienti dall’Albania giungevano fino alle piazze di spaccio calabresi, passando dal porto di Bari. Traffico che ieri mattina gli uomini delle Compagnie dei Carabinieri di Catanzaro e Girifalco, supportate in fase esecutiva del personale dell’Arma di Isola di Capo Rizzuto e Lamezia Terme, hanno interrotto disarticolando due sodalizi criminali formati da cittadini albanesi e appartenenti alla comunità rom del capoluogo di regione, entrambi dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti, nel corso dell’operazione antidroga denominata “Brown Eagle-Honey”.

Crotone, Catanzaro e comuni limitrofi le piazze rifornite dagli ingenti quantitativi di eroina e marijuana che venivano gestite all’interno del quartiere roccaforte sito nella zona sud della città dei Tre Colli: Pistoia, e traversa Isonzo. Il blitz (scaturito da due distinte attività investigative confluite in una unica) ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, Gilda Danila Romano su richiesta della Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri, nei confronti di 14 soggetti, in parte di nazionalità albanese e in parte appartenenti alla comunità rom di Catanzaro.

78 indagati, 34 fermati, 45 kg di droga, 18mila euro in contanti

Le accuse mosse nei loro confronti sono, a vario titolo, associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, estorsione e ricettazione. Complessivamente, sono 78 le persone iscritte nel registro degli indagati, e durante tutta l’indagine, e nei mesi scorsi sono state tratte in arresto in flagranza o fermate 34 persone; poste sotto sequestro oltre 45 Kg di sostanze stupefacenti tra eroina e marijuana, 18.000 euro in contanti, circa 70 chilogrammi di sostanze da taglio e due armi illecitamente detenute.

Da un lato il clan degli albanesi al quale spettava il compito di far arrivare le partite di droga dalla rotta balcanica direttamente al porto di Bari con corrieri sempre diversi e dal quale partivano tir carichi di elettrodomestici tra i quali, invece, veniva occultata la droga che giungeva a destinazione nel fortino dei rom catanzaresi, che provvedevano quindi ad occultare – anche in ovili e locali in piena campagna di proprietà degli associati e dove lo stupefacente veniva anche nascosto sottoterra in una stalla – custodire, manipolare e smerciare l’eroina.

Come appurato dagli inquirenti, diverse erano le astuzie e le tecniche utilizzate tra gli appartenenti ai due sodalizi per comunicare tra loro (ad esempio, cambiavano spesso numero di telefono, intestando anche a terzi le nuove sim) per mezzo di messaggi scritti in codice per non far capire, in caso di intercettazioni, l’oggetto della conversazione.

Le parole in codice

Dialoghi per lo più definiti dal gip nelle oltre 300 pagine dell’ordinanza come conversazioni “stringate, rapide, compiute nella imminenza degli incontri, senza che annoverassero date, luoghi o nomi espressi che potessero servire, ove captate, a dare concretezza al parlato stesso e alla identificazione dei parlatori”.

E così, la droga arrivata dall’Albania a Catanzaro e poi rivenduta tra il capoluogo, Crotone e zone limitrofe, si tramutava in “polpette” e “ordinazioni”. Ma l’attenta analisi degli inquirenti ha portato a decriptare tali allusioni e riferimenti. Importante apporto alle indagini, con riferimento soprattutto al contesto associativo, è stato fornito dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia che hanno descritto agli inquirenti un quadro preciso sulle attività del narcotraffico ad opera dei rom residenti nell’area sud del capoluogo calabro e il loro modus operandi anche per quanto riguarda l’estorsione e la ricettazione anche di armi.

Così gli inquirenti vengono a conoscenza di come uno degli indagati, consegnava le dosi da spacciare sempre in luoghi diversi e con modalità differenti, lasciandole vicino a un lampione dentro ad un pacchetto di sigarette Camel, o ad un fazzoletto arrotolato, o all’interno di una confezione vuota di Estathè con all’interno la droga. Stupefacente che veniva precedentemente tagliata e divisa davanti al collaboratore (al tempo dei fatti facente parte dell’organizzazione) e disposta all’interno di involucri ricavati da buste di plastica, tagliate a forma di cerchio e saldato con l’accendino.

Dai racconti di uno dei collaboratori, inoltre, si evidenzia come lo stesso indagato, all’interno di una stalla di sua proprietà, tagliava le canne di un fucile da caccia del tipo doppietta per renderla a canne mozze, o si premurava di trovare munizioni adatte ad una sorta penna che all’occasione si trasformava in una vera e propria arma da fuoco.

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