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La cittadella regionale

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CIRO’ MARINA – C’è un punto di contatto fra l’inchiesta “STIGE”, contro il “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, e quella, denominata “ROBIN HOOD“, che avrebbe svelato il ladrocinio dei fondi comunitari destinati ai poveri nell’ambito dei progetti della Regione Calabria sul credito sociale; inchieste entrambe condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. L’anello di congiunzione è rappresentato dalla figura di Vincenzo Caserta, funzionario regionale (originario di San Costantino Calabro, nel VIbonese) titolare del dipartimento Politiche sociali, arrestato insieme, tra gli altri, all’ex assessore Antonio Salerno e al presidente della Fondazione Calabria Etica, Pasqualino Ruberto, nell’indagine che avrebbe fatto luce su una serie di reati di abuso d’ufficio, falso, turbative d’asta oltre a pericolosi legami con la potenta cosca Mancuso di Limbadi.

O, meglio, il punto di contatto è il business ruotante attorno alle risorse che dovrebbero essere erogate per servizi ai più deboli, in questo caso ai minori stranieri non accompagnati accolti nella Casa S. Antonio di Cirò Marina, gestita di fatto dagli imprenditori di riferimento della super cosca Farao Marincola che, a quanto pare, avevano reclutato tra i soci della coop Omnia la moglie dell’avvocato Francesco Campana, un funzionario del dipartimento regionale di cui sopra, peraltro responsabile del procedimento amministrativo per l’accreditamento della Regione. Proprio Caserta entra in gioco quando viene interpellato dalla Prefettura di Catanzaro che rilevava come Aniello Esposito, l’imprenditore campano titolare della Omnia e figura strategica con “entrature” anche in ambienti ministeriali (come già riferito dal Quotidiano, ndr), non fosse stato mai accreditato dalla Regione ma, nel frattempo, era presente nei suoi elenchi quale responsabile della struttura.

Caserta rispondeva alla richiesta di chiarimenti con affermazioni, secondo la Dda di Catanzaro «in parte mendaci», facendo riferimento all’autorizzazione concessa in seguito all’istanza di accreditamento presentata da Opus Onlus, la cui rappresentante legale in realtà era Angela Rizzo (anche lei arrestata e poi scarcerata nell’inchiesta Stige), della quale Esposito si sarebbe presentato come collaboratore comunicando i propri dati a Italia Lavoro, gestore del Sistema informativo minori per conto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, anche se non aveva alcuna carica o rapporto di collaborazione ufficiale con la stessa Opus. E’ lo stesso periodo – compreso tra l’agosto e ottobre 2014 – a cui risalgono i fatti contestati nell’inchiesta sul Credito sociale, ovvero gli illeciti commessi da amministratori e funzionari regionali compiacenti, quello in cui matura la vicenda dell’accreditamento della Casa Sant’Antonio.

I particolari nell’edizione in edicola oggi del Quotidiano del Sud

 
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