La conferenza stampa di presentazione dell'operazione
4 minuti per la letturaIl capo del clan, Vincenzo Gallelli, imponeva la guardiania e fissava le modalità di sfruttamento dei terreni
CATANZARO – Sette persone in carcere per avere vessato per oltre venti anni una nota famiglia di latifondisti, obbligandola a subire ogni tipo di controllo sul patrimonio. L’operazione “Pietranera” è stata portata a termine dalla squadra Mobile di Catanzaro ed ha portato in carcere sette esponenti della cosca Gallelli di Badolato, collegata direttamente alla potente cosca dei Gallace di Guardavalle.
In manette sono finiti Vincenzo Gallelli, presunto boss di 74 anni e noto come “Cenzo Macineju”, Andrea Santillo, 57 anni, Antonio Santillo, 28 anni, Antonio Gallelli, 37, Francesco Larocca, 51, Giacomo Nisticò, 50, Giuseppe Caporale, 36.
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Le attività investigative sono state coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, con il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, con la supervisione del procuratore capo Nicola Gratteri, ed hanno permesso di accertare che il capo cosca Vincenzo Gallelli avrebbe imposto, per oltre vent’anni, la “guardiania” sulle proprietà dell’omonima famiglia Gallelli di Badolato, noti come “I Baroni”, fissando anche le modalità di sfruttamento dei terreni e costringendo, di anno in anno gli imprenditori a concederli a pascolo ed erbaggio a propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendo in tal modo il libero sfruttamento commerciale da parte dei legittimi proprietari.
Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dal Gip Distrettuale di Catanzaro su richiesta della Procura della Repubblica, contestando, a vario titolo, più episodi di estorsione aggravata dalla metodologia mafiosa, nei confronti di due imprenditori agricoli di Badolato.
Le indagini, effettuate anche con intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno fatto emergere, in particolare, come gli imprenditori agricoli, vittime delle pretese estorsive, per il periodo tra la metà degli anni ’90 e il 2008 siano stati costretti ad accettare la presenza nelle loro aziende, quale “custode” di Vincenzo Gallelli, il quale visto il ruolo rivestito nelle organizzazioni criminali, garantiva loro la “tranquillità ambientale”, costringendoli a donargli quale controprestazione, numerosi terreni, nonché ad affidare la gestione e lo sfruttamento di altri fondi agricoli a sé o ai suoi più prossimi familiari, quali il pronipote trentasettenne Antonio Gallelli con divieto, di fatto, di esercitare, sui terreni attività non concordate con il capo cosca. In particolare, ogni qual volta le vittime tentavano di dare corso ad una produzione agricola intensiva, i loro raccolti erano completamente distrutti dagli animali posseduti dai membri della famiglia Gallelli lasciati abusivamente al pascolo sui terreni coltivati.
La pressante condizione di omertà imposta ai titolari dell’azienda agricola, li avrebbe costretti a modificare e rivedere i termini e le condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese ed ai condizionamenti di Vincenzo Gallelli. Quest’ultimo sarebbe stato affiancato dal nipote Antonio Santillo, dai pronipoti Antonio Gallelli e Giuseppe Caporale, utilizzando gravi minacce anche di morte attraverso Francesco Larocca e il genero Giacomo Nisticò. Il contesto di totale soggezione psicologica nel quale si erano venuti a trovare le vittime, ha impedito alle stesse di presentare denunce rispetto a quanto subito, fino a quando le stesse vittime.
Gratteri: interessi in agricoltura anche per fondi UE
Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, nel corso della conferenza stampa per l’operazione “Pietranera” ha evidenziato: “La ‘ndrangheta è stata sempre interessata al controllo del latifondo, è cresciuta con esso, sia con la guardiania che con il dominio del territorio”.
Gratteri ha spiegato i diversi interessi delle cosche sui latifondi, spiegando che “cresce l’interesse della ‘ndrangheta per i contributi dell’Unione Europea che portano le organizzazioni mafiose a interessarsi del latifondo”. Dietro questo interesse, dunque, ci sarebbero diverse motivazioni: “Per la ‘ndrangheta è importante il controllo del territorio – ha spiegato Gratteri – anche rispetto alle aree agricole. Nel latifondo ci sono interessi economici imponendo anche il proprio personale e la propria guardiania che sono più gravi delle ‘mazzette’ perché si inseriscono persone che possono poi condizionare l’azienda. Il capomafia sa così cosa chiedere e quando chiedere e questo dominio è devastante per l’imprenditore agricolo”.
Nell’operazione portata a termine dalla squadra Mobile, Gratteri ha sottolineato anche come “le parti offese si siano fidate di noi, e questo è importante e ci conforta, facendoci sperare in una inversione di tendenza”.
Soddisfatti anche i procuratori aggiunti Vincenzo Luberto e Vincenzo Capomolla. Luberto ha sottolineato come “in Calabria non c’è democrazia nello sfruttamento delle risorse economiche in mano a pochissime persone e contese con i metodi mafiosi”, mentre Capomolla ha ripercorso le indagini evidenziando che le stesse sono partite dopo alcune intercettazioni avviate per altre estorsioni: “E’ importante creare le condizioni – ha concluso Capomolla – per consentire alle persone offese di esporsi per quel minimo che è necessario”.
Polizia: vittime pronte a collaborare
Secondo il questore di Catanzaro, Amalia Di Ruocco, “l’operazione ha evidenziato la collaborazione delle vittime, supportate dalle attività di indagine”, aggiungendo come sia “importante che la popolazione calabrese sappia che non è sola”. Anche il capo della squadra Mobile, Nino De Santis, ha sottolineato il valore dell’indagine, spiegando che “è stato imposto per venti anni un servizio di guardiania non richiesto, grazie al fatto che nel tempo c’erano stati incendi, taglio di alberi e danneggiamenti che avevano condizionato le scelte degli imprenditori”.
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