Un'aula di tribunale
3 minuti per la letturaLAMEZIA TERME (CATANZARO) – Il politico Gianpaolo Bevilacqua, 49 anni, è stato assolto in appello oltre che dal reato di estorsione anche dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (in primo grado era stato condannato a 4 anni e 8 mesi). E in appello è stata confermata anche l’assoluzione per estorsione.
In primo grado, infatti, il tribunale di Lamezia (a luglio 2015) aveva condannato Bevilacqua per concorso esterno mentre per l’accusa di estorsione era stato assolto (LEGGI LA SENTENZA). Ora, in appello è stato assolto da entrambe le ipotesi di reato, mentre il procuratore generale aveva chiesto la condanna a 6 anni e 4 mesi sia per il concorso esterno che per l’estorsione. Alla fine è stato l’avvocato Francesco Gambardella, legale di fiducia del politico, a convincere i giudici della Corte d’Appello dell’innocenza del suo assistito. Bevilacqua è stato assolto con la formula ampia “perchè il fatto non sussiste”.
Contro Bevilacqua si sono costituiti parte civile il Comune di Lamezia, l’associazione antiracket Lamezia e la Fai (Federazione antiracket) che avevano aderito alle richieste dell’accusa di condanna dell’imputato. La carriera politica di Bevilacqua subì un brusco stop a luglio del 2013.
Pesanti le accuse formulate dalla Dda di Catanzaro che lo fecero finire in carcere per qualche mese (operazione “Perseo”) per concorso esterno in associazione mafiosa e per un episodio di estorsione quando avrebbe pretesto lo sconto per l’acquisto di tute da ginnastica per alcuni detenuti del clan. Bevilacqua (che fu arrestato insieme a boss e gregari del clan Giampà, avvocati e professionisti) era stato ritenuto il politico di riferimento del clan Giampà nella sua qualità, all’epoca dei fatti, di consigliere provinciale, capogruppo Pdl, presidente della Commissione provinciale lavori pubblici, nonché rappresentante della Provincia nel Consiglio di amministrazione della Sacal (società di gestione dell’aeroporto internazionale di Lamezia Terme), di cui Bevilacqua ricopriva l’incarico di vicepresidente e per alcuni mesi di presidente facenti funzioni.
Con questi ruoli – secondo le accuse – avrebbe assunto il ruolo di concorrente “esterno” della cosca Giampà, in quanto – secondo le accuse – pur non potendosi ritenere inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio, nell’ambito di un legame privilegiato con taluni esponenti di rilievo della cosca Giampà, “forniva tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, di natura materiale e/o morale, avente una effettiva rilevanza causale nella conservazione o nel rafforzamento delle capacità operative dell’associazione, contributo rilevante e agevolativo per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo, comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima; nello specifico, poneva in essere in più occasioni, la promessa e il suo impegno politico di attivarsi, una volta eletto, a favore dei membri della cosca di ‘ndrangheta sopra citata, per l’assegnazione di appalti o posti di lavoro, in cambio del costante impegno elettorale da parte degli esponenti della cosca a procurare più voti possibili ai fini dell’elezione, ma anche a favore della cosca Iannazzo, per ciò che concerne gli appalti in zona aeroportuale, divenendo sostanzialmente il politico di riferimento della cosca Giampà (e della cosca Iannazzo) a livello provinciale”.
Bevilacqua era stato anche accusato di un episodio di estorsione poichè avrebbe acquistato circa tre-quattro tute da ginnastica, svariate paia di calze, nonché alcune maglie, corrispondendo solo una somma in contanti di 250 euro, a fronte di un valore commerciale della merce, iva compresa, di 450 euro, pretendendo lo sconto sulla merce medesima, in particolare chiedendo, in talune circostanze, di fargli un buon trattamento sulla merce acquistata poiché non era per sè ma per «alcuni detenuti». Contro Bevilacqua puntarono il dito diversi collaboratori di giustizia.
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