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Sono molti i punti da chiarire nell’inchiesta sulla morte, nel carcere di Viterbo il 19 gennaio scorso, di Claudio Tomaino (nel riquadro) reo confesso dell’assassinio di quattro suoi familiari avvenuto il 27 marzo del 2006 nelle campagne di Caraffa (Catanzaro). È quanto si rileva nell’ordinanza con la quale il gip di Viterbo, Salvatore Fanti, ha rigettato la richiesta di archiviazione da parte della Procura della Repubblica ed accolto l’istanza di proroga delle indagini presentata dagli avvocati Noemi e Francesco Balsamo, legali della madre di Tomaino, che non crede che il figlio si sia ucciso e chiede che vengano accertate eventuali responsabilità nel suo decesso. La prima questione da approfondire riguarda le tracce di sangue rilevate sul viso di Tomaino e sul guanciale, che, a detta dei legali della madre di Tomaino, non sono mai state esaminate. Rilevanti sono, inoltre, le dichiarazioni di un altro detenuto del carcere di Viterbo, Lillo Barletta, che in una lettera inviata alla Procura di Viterbo ha sostenuto che Tomaino non si è suicidato, ma è stato ucciso. Importante sarà stabilire i controlli che sono stati eseguiti nella cella in cui era stato rinchiuso Tomaino la cui sorveglianza, evidenziano i legali, era stata affidata ad un altro detenuto, Attilio Mazza, il quale però ha dichiarato, che a causa dei medicinali che assumeva, nel momento in cui Tomaino è morto dormiva. «Abbiamo chiesto doverosamente al gip – affermano i legali della madre di Tomaino – come sia stato possibile affiancare a Tomaino un detenuto che, a causa della terapia cui era sottoposto, non era in grado di provvedere neppure a se stesso. Il penitenziario dovrà altresì dimostrare tutti i controlli eseguiti a tutela del Tomaino». «Aspettiamo gli esiti di queste indagini – affermano ancora gli avvocati Noemi e Francesco Balsamo – con lo spirito di poter avere finalmente ed a distanza di oltre due anni dal decesso, risposte soddisfacenti sulle cause reali del decesso di Tomaino, non rassegnandoci alle conclusioni del pm che per ben due volte ha chiesto l’archiviazione, sostenendo la tesi del suicidio».
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