La moto utilizzata per l'omicidio del dipendente comunale
3 minuti per la letturaMafia dei boschi: Il retroscena del dietrofront al pentito: minacce ai familiari; trovata grazie alle rivelazioni dei nuovi pentiti la moto dei killer usata x un un delitto
PETRONÀ – «Vedete di sistemare la cosa altrimenti finirete male»: sarebbe questa la minaccia rivolta a un familiare di Mario Gigliotti, presunto reggente del clan Carpino di Petronà che aveva intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia facendo rivelazioni sulla mafia dei boschi ma si è bruscamente stoppato per timore di ritorsioni nei confronti dei propri congiunti. Secondo quanto trapela da ambienti investigativi, un parente stretto di Gigliotti sarebbe stato avvicinato nel centro di Petronà da due esponenti di vertice delle famiglie di ‘ndrangheta Carpino e Bubbo, al centro della maxi udienza preliminare con 71 imputati scaturita dall’inchiesta che nel settembre scorso portò all’operazione Karpanthos.
MAFIA DEI BOSCHI: LE MINACCE AI FAMILIARI DEL PENTITO CHE HANNO PORTATO AL DIETROFRONT DI GIGLIOTTI
La minaccia sarebbe stata rivolta verbalmente tre giorni prima dell’udienza. Ecco il motivo del dietrofront di Gigliotti, del quale era stato appena acquisito il “verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione” reso il 9 gennaio dinanzi al procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro facente funzioni, Vincenzo Capomolla, e alla sostituta Veronica Calcagno. Collegato in videoconferenza da un sito remoto, a viso scoperto, l’imputato ha sentito il bisogno di fare una precisazione sul suo status. «Da questo momento non sono un collaboratore di giustizia, ditelo alla stampa».
Nei giorni scorsi, il Quotidiano aveva riferito delle sue prime “cantate”, con particolare riguardo al ruolo attivo che Gigliotti avrebbe avuto nella pax con la famiglia contrapposta dei Bubbo, partecipando al summit convocato dalla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, e all’incarico di “referente” su Catanzaro delle cosche della Sila, conferitogli dal “capo” della montagna, Mario Donato Ferrazzo, il boss di Mesoraca.
Mentre iniziavano a fioccare rivelazioni su rivelazioni, i clan dei boschi corrono ai ripari con i metodi che conoscono. Stanno, infatti, per aprirsi crepe imponenti nel muro di omertà che ha circondato una faida ultraventennale e affari coperti da silenzi e collusioni. Dopo il pentito Domenico Colosimo, ex killer della cosca Carpino, che ha vuotato il sacco dopo la retata di settembre, ha iniziato a “cantare” non solo Gigliotti, ma anche Vincenzo Antonio Iervasi, il capo del gruppo criminale alleato attivo nella vicina Cerva, dove il Comune è stato da poco sciolto per mafia.
SPUNTA LA MOTO UTILIZZATA PER L’OMICIDIO DEL DIPENDENTE COMUNALE
Ma se Gigliotti è stato imbavagliato, le altre gole profonde continuano a “cantare”: così è spuntata la moto che potrebbe essere stata utilizzata per l’omicidio del dipendente comunale Silvano Talarico, compiuto nel luglio 2008. Il pentito Colosimo sostiene che i killer sarebbero stati Giovanni Greco e Antonio Iervasi. Al summit l’ordine sarebbe partito da Gigliotti. Il commando avrebbe attesto che la vittima predestinata finisse di lavorare e sarebbe entrato in azione a due chilometri dal centro abitato. «Lui era su uno scooter, Iervasi e Greco su una moto rubata, il primo guidava e il secondo sparò». Colosimo non ha mai creduto al movente passionale con cui, negli ambienti criminali, fu giustificato l’agguato.
La moto l’hanno fatta ritrovare ai carabinieri, nei pressi di Cerva, i pentiti che stanno facendo rivelazioni sulla faida che per una ventina d’anni ha insanguinato i boschi. Forse qualcuno di loro che si è occupato dell’occultamento del cadavere.
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