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Si pente anche il “reggente” di Petronà e “canta” su delitti e racket nell’eolico; nuove rivelazioni: nella mafia dei boschi 3 le gole profonde


CATANZARO – Fioccano le rivelazioni sulla mafia dei boschi. Le gole profonde che hanno iniziato a “cantare” in seguito all’operazione Karpanthos sono tre. Dopo il pentito Domenico Colosimo, killer della cosca Carpino di Petronà, collabora con la giustizia anche Mario Gigliotti, presunto reggente del clan che ha avuto un ruolo attivo nella pax con la famiglia contrapposta dei Bubbo e che sarebbe il referente su Catanzaro delle cosche della Sila su “delega” del capo della montagna, il boss di Mesoraca Mario Donato Ferrazzo. Ma sta rendendo interrogatori alla Dda di Catanzaro anche Vincenzo Antonio Iervasi, il capo del gruppo criminale attivo nella vicina Cerva, dove il Comune è stato da poco sciolto per mafia.

Gigliotti, in particolare, è uno che sa molte cose, essendo stato il tramite con gli Arena di Isola Capo Rizzuto, che imposero la cessazione delle armi, con i Tegano di Reggio Calabria e i Coco trovato di Marcedusa. Insomma, uno che si rapportava con l’aristocrazia della ‘ndrangheta. Ecco perché, il 9 gennaio scorso, a sentire Gigliotti è andato, insieme alla pm antimafia Veronica Calcagno, anche il procuratore facente funzioni di Catanzaro, Vincenzo Capomolla. Gigliotti potrebbe sapere molto sulla faida che per trent’anni ha insanguinato la Sila catanzarese ma questa parte dei racconti è omissata. Tutte e tre le gole profonde sono imputate nel maxi procedimento denominato Karpanthos, nell’ambito del quale si sta celebrando l’udienza preliminare per 71 persone.

Il racconto di Gigliotti inizia con le estorsioni a un’impresa impegnata nel settore eolico che aveva un appalto ad Andali. Gigliotti racconta di un summit presieduto da “Topolino”, nomignolo di Mario Donato Ferrazzo, il boss di Mesoraca, che sarebbe il capo della montagna. In una «casa antica» si tenne una riunione a cui parteciparono anche Gigi Pane, Piero Scalzi, Franco Carpino, Antonio Ferraro, pezzi grossi dei clan della Presila catanzarese.
La richiesta di 100mila euro alla ditta fu formulata a un referente dell’impresa, che prese tempo per le “ambasciate” e successivamente riferì che il prezzo era troppo alto ma 70mila euro sarebbero andati bene. I boss accettarono. Gigliotti presenziò alla consegna di 50mila euro ma poi la ditta non ce la fece più. Il boss di Mesoraca tenne il 50 per cento per i “carcerati” e il resto per “tutta la montagna”. La parte dei Carpino, in particolare, la incassò anche Gigliotti.

Un’altra estorsione è quella fatta a un’impresa di Botricello a cui i “bravi ragazzi” della montagna rubarono anche un ponteggio a Taverna e che aveva un appalto a Germaneto di Catanzaro. Estorsioni anche ai “pali di Petronà”, con riferimento sempre al settore dell’eolico. In questo caso da 50mila euro si scese a 30mila. Pizzo imposto anche a un’impresa di Girifalco che realizzava la scuola materna a Petronà e, soprattutto, a Catanzaro, ai danni di una ditta «che ha fatto la rotonda a Giovino». «Io ero il delegato su Catanzaro da parte di Mario “Topolino”». Perché «Catanzaro e montagna stavano insieme». C’è anche un “vice responsabile” della montagna, indicato in Gigi Pane di Sersale. Ma chi fa i “pacchetti” è sempre il boss dell’Alto Crotonese. «A Topolino vanno i soldi e lui divide». A Petronà, invece, chi comanda sono Salvatore e Francesco Carpino e “in mancanza” loro c’era Gigliotti.

In ragione della sua posizione di vertice, e dei contatti che aveva con Paolo Lentini, uno dei plenipotenziari del clan Arena di Isola, Gigliotti sa anche di omicidi. «Sergio Pisani è stato ammazzato dai riggitani su richiesta degli Arena, quanto a Pino Lia è stato Gigi Pane».
Ma sta rendendo dichiarazioni, da un sito protetto, anche il “capo” di Cerva, Vincenzo Antonio Iervasi, al quale l’incarico sarebbe stato conferito dallo stesso Gigliotti. Iervasi ammette: «dipendevamo da Ferrazzo». Ma «c’era più feeling con gli Arena». Ecco perché ha avuto un ruolo nella pacificazione mafiosa imposta dagli isolitani. Ad ogni modo la supremazia, anche nella montagna catanzarese, è delle cosche del Crotonese. «Quando arrivavano i soldi delle estorsioni da Mario Ferrazzo li dividevamo io e Giovanni Sacco, me li hanno dati sempre nel periodo di Natale, ma a volte Mario Gigliotti li teneva lui».

Ma Iervasi parla anche delle elezioni. Lui sarebbe stato vicino all’ex sindaco di Cerva Mario Marchio, predecessore del suo coimputato Fabrizio Rizzuti, che guidava il Comune sciolto per mafia. L’indagine avrebbe consentito di svelare il rapporto confidenziale di Rizzuti con esponenti delle cosche locali al punto da «piegare la funzione pubblica ai loro interessi», secondo l’accusa. Ma Iervasi rincara la dose tirando in ballo la sindacatura di Marchio, sostenendo di avergli dato 3mila euro per la campagna elettorale e che quando c’erano gli appalti «chiamavano quattro, cinque imprese ma risultava vincitrice chi voleva lui». Inoltre, l’ex capo dei Cerva
si autoaccusa dell’incendio all’auto di una candidata della lista di Rizzuti nel 2012. E racconta di essersi rifiutato di compiere l’omicidio di un affiliato di spicco come Giuseppe Rocca.

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