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La Dia ha eseguito la confisca dei beni per circa 500mila euro a 3 società; condannati imprenditori coinvolti nell’inchiesta “Profilo basso”
CATANZARO – La Dia di Catanzaro ha eseguito la confisca definitiva di tre società riconducibili alle cosche Bagnato di Roccabernarda e Trapasso di San Leonardo di Cutro. Il sequestroera stato disposto dal Tribunale contestualmente alla sentenza con la quale sono state inflitte in primo grado pesanti condanne per associazione mafiosa e reati tributari correlati a false fatturazioni, il nuovo “oro” delle mafie, nei confronti di imprenditori coinvolti nell’inchiesta che nel gennaio 2021 portò all’operazione “Profilo basso”.
I SIGILLI IN CALABRIA, LAZIO E LOMBARDIA
I sigilli sono scattati su società cartiere operanti in Calabria, Lazio e Lombardia e su rapporti bancari e disponibilità finanziarie, per un valore complessivo stimato in circa 500.000 euro. Le società confiscate sono My Service 24 srl, Total Service srl e T service srl. La prima si occupava di pulizie e aveva sede legale a Cosenza; la seconda di costruzioni di edifici con sede legale a Roma; la terza di call center con sede a Caraffa. I titolari, il crotonese Tommaso Stranges e una donna bulgara, presunte “teste di legno”, sono andati peraltro assolti nel processo ma la riconducibilità delle imprese ai clan per gli inquirenti resta.
«Le organizzazioni mafiose si sono dimostrate capaci di una metamorfosi evolutiva affiancando ai reati tradizionali nuovi business. Ingenti frodi fiscali, specie nel settore dell’imposta sul valore aggiunto, delle accise e dei crediti d’imposta, attraverso il ricorso al sistema delle false fatturazioni, gestito grazie al controllo di articolate reti di società cartiere e di comodo situate in Italia e all’estero», ha detto al Sole 24 Ore il direttore nazionale della Dia, Michele Carbone. «Per le mafie l’F24 è il nuovo kalashnikov». E ancora: «I clan hanno altresì dimostrato di poter reclutare comodamente frotte di fiduciari e teste di legno. Questa rete relazionale li favorisce poi nel reclutamento di professionisti compiacenti chiamati ad asseverare falsamente, con imponenti cessioni dei crediti d’imposta fittizi derivanti da bonus edilizi, i requisiti tecnici dei progetti di intervento, la loro effettiva realizzazione e la congruità delle spese».
L’INCHIESTA PROFILO BASSO CHE HA PORTATO ALLA CONFISCA
Sembra lo scenario tracciato dall’inchiesta Profilo Basso, emblematica perché ha fatto luce su un’associazione a delinquere, con aggravante mafiosa, finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti servente le cosche. Due le “gole profonde” in tal senso: Tommaso Rosa, di Sellia Marina ma originario di Roccabernarda, e la moglie Concetta Di Noia. Entrambi divenuti collaboratori di giustizia dopo il coinvolgimento nell’inchiesta, hanno fatto rivelazioni sull’organizzazione della quale sarebbero stati promotori insieme all’imputato chiave, Antonio Gallo, l’imprenditore di Sellia Marina che grazie all’appoggio dei clan del Crotonese avrebbe assunto una posizione di monopolio negli appalti in materia anti-infortunistica.
Se Rosa ha sostanzialmente riferito agli inquirenti, e confermato in aula, di essere stato il braccio destro di Gallo, Di Noia ha ammesso di essere stata una stretta collaboratrice del marito nella predisposizione delle carte finalizzate all’evasione sul valore aggiunto e sui redditi per consentire un rimborso indebito. Era lei, infatti, l’addetta alla stesura delle fatture su indicazione di Rosa e Gallo, un reato che la Dda di Catanzaro ritiene aggravato dalla finalità dell’agevolazione alle cosche.
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